Foody, la mascotte di Expo (e tutto quello che c'è dietro)

Mancano due giorni all'apertura di Expo. In dicembre, a un pubblico composto interamente di bambini, è stata presentata la mascotte della fiera universale, che ha raccolto ben pochi consensi, soprattutto sul web, dove s'è scatenata la consueta gogna mediatica. Sono stati gli stessi bambini che hanno poi scelto il nome: Foody. Il suo viso è composto da undici diversi frutti: banane, arancia, anguria, fico, mais blu, mango, mela, melograno, pera, ravanelli e aglio. Ognuno di questi frutti ha un nome, scelto anche in questo caso dai bambini: Guagliò, l'aglio; Arabella, l'arancia; Josephine, la banana; Rodolfo, il fico; Piera, la pera; Gury, l'anguria; Pomina, la mela; Max Mais, il mais blu; Manghy, il mango; Chicca, la melagrana e Rap Brothers, i rapanelli. I personaggi sono protagonisti di una serie animata, a cui partecipa anche Claudio Bisio, donando la voce alla mascotte Foody. Le puntate sono disponibili sulla pagina ufficiale della mascotte o sul canale di Youtube dedicato ad Expo.
Il fine degli organizzatori era quello di rappresentare la diversità dei cibi di tutto il mondo che, unendosi in un unico volto, simboleggiano la sinergia che unisce tutti i Paesi, vicini nell'affrontare il delicatissimo tema del cibo. L'espressione sorridente ed i colori accesi vogliono esprimere un messaggio positivo e la scelta di prodotti naturali ricorda l'importanza di un'alimentazione sana. In molti però ignorano quale sia la reale provenienza di questo logo, che da molti è stato visto solo come un'accozzaglia di frutta e verdura, unite per creare un volto, senza troppa fantasia.








Origine e significato. La mascotte è un tributo all'opera forse più famosa di Giuseppe Arcimboldo, il ritratto di Rodolfo II in veste di Vertumno, dio romano delle mutazioni stagionali. Il viso dell'imperatore fu rappresentato in maniera allegorica con una composizione gastronomica, che simboleggia l'abbondanza e la prosperità che il sovrano avrebbe donato a tutti i suoi sudditi. L'importanza di questo dipinto, tuttavia, ritrova ancora maggiore rilievo nei secoli successivi, perché considerato uno dei più grandi manifesti della biodiversità nel nostro Paese. Secondo una ricercatrice umbra, Isabella Dalla Ragione, le varietà rappresentate sarebbero almeno 40 e quasi tutte sono ancora esistenti oggi, grazie al lavoro di contadini, monaci e studiosi.
L'arte ha fatto del cibo uno dei principali temi soprattutto a partire dal manierismo nel XVI secolo, ma c'è chi ha fatto molto di più: nel Seicento la pittrice Giovanna Garzoni venne incaricata dai Medici di fare un vero e proprio censimento di tutte le varietà presenti nei loro giardini botanici, dipingendole una ad una. L'opera documentaristica della Garzoni fu unica nel suo genere ed ha permesso ai ricercatori, come Isabella Dalla Ragione, di ricostruire le specie alimentari dell'epoca e la loro evoluzione fino ai giorni nostri.
L'eredità dei monaci. Il grande lavoro dei monaci e dei frati, che per secoli hanno coltivato nei loro conventi fiorenti orti, ha permesso a molte specie di sopravvivere e di conservarsi perfettamente. In particolare i monaci di clausura, che avevano l'esigenza di creare un sistema di produzione di cibo indipendente, hanno sviluppato negli anni molte varietà di piante, per variare la propria dieta e per avere cibo in ogni periodo dell'anno. In queste oasi di biodiversità, che spesso sono giunte intatte fino in epoca moderna, è racchiusa una parte importante della cultura culinaria del nostro Paese. Il contributo dei religiosi, unito alla testimonianza dei quadri antichi, ha reso possibile il lavoro di molti botanici.
Oltre a ricostruire l'evoluzione dell'agricoltura e dei costumi passati, i ricercatori hanno anche utilizzato i semi per nuove e più ampie coltivazioni, evitando il rischio che le specie più rare potessero estinguersi. A Città di Castello è stato costituito dalla fondazione Archeologia Arborea - di cui Isabella Dalla Ragione è presidente - un vero e proprio "frutteto collezione", con piante coltivate con sistemi tradizionali. Al suo interno sono presenti circa 400 esemplari diversi di specie e come viene spiegato sul sito web della fondazione «la collezione serve al mantenimento delle risorse vegetali e culturali; testimonia e conserva un importante segmento del patrimonio storico, culturale e paesaggistico. Ha forti potenzialità del punto di vista didattico, ha un'importante funzione di serbatoio, favorendo il mantenimento delle biodiversità e delle produzioni locali».