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Gli aeroporti di Sir Norman Foster che ora farà volare il Messico

Gli aeroporti di Sir Norman Foster che ora farà volare il Messico
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Avranno inizio nel 2015 i lavori per la realizzazione del nuovo Aeroporto di Città del Messico. Il progetto è firmato dall'archistar britannica Norman Foster e dal designer messicano Fernando Romero. Il team d'eccezione si è aggiudicato la competizione internazionale, lanciata nella primavera del 2014, che ha visto la candidatura di venti studi di architettura. Il progetto per “l'aeroporto del futuro” è stato annunciato mercoledì 3 settembre, dal presidente del Messico, Enrique Pena Nieto, in presenza delle autorità locali, del sindaco di Città del Messico e degli stessi Romero e Foster.

Il primo hub dell'America Latina, concepito a forma di 'X', sarà composto da sei piste in grado di accogliere 120 milioni di passeggeri annui. Il nuovo terminal, le cui forme si ispirano al simbolismo di uno tra i Paesi latinoamericani più ricchi di storia, occuperà una superficie circa pari a 470 mila metri quadrati, ed è progettato per essere l'aeroporto più sostenibile al mondo Costerà 9.17 miliardi di dollari.

Norman Foster è tra i principali esponenti dell'architettura high-tech. Ha progettato diversi aeroporti in tutto il mondo. Ve li presentiamo.

 

Stansted Airport, UK (1991)

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C’è un poco di Bergamo nell’aeroporto di Londra - Stansted, perché vi arrivano i voli Ryanair da Orio al Serio. È il quarto aeroporto per densità di traffico del Regno Unito ed il terzo nell'area londinese dopo Heathrow e Gatwick. Ceduto dalla NATO alla British Airports Authority (Autorità Britannica per gli Aeroporti, BAA) nel 1966 divenne il preferito dagli operatori charter incapaci di sopportare i costi di utilizzo degli aeroporti di Heathrow e Gatwick.

Nel 1984 il governo britannico approvò un piano per espandere ulteriormente Stansted e portare la sua capacità a 15 milioni di passeggeri all'anno. L’incarico fu affidato a Norman Foster Associates che accettò la sfida di un ingegnere strutturista, Peter Rice, secondo il quale sarebbe stato possibile realizzare una copertura “galleggiante”. Utilizzando una struttura tubolare a piramidi rovesciate contigue l’una all’altra e poggiate su pilastri entro cui viaggia il sistema di tubi e cavi che assicura il funzionamento e la climatizzazione dell’aerostazione, Foster riuscì a creare un’affascinante zona “vuota” (o “di respiro”) tra i pilastri e il tetto che a questo punto appare, da dentro, come la folla di ali di uno stormo di gabbiani in volo. La conformazione del terminal è studiata in modo che un flusso continuo di persone possa transitarvi in partenza e in arrivo senza venire incanalato. Una soluzione che oggi non troverebbe troppi sostenitori. Ma che lì funziona.

Ma il problema di Stasted è un altro: finito di realizzare nel 1991 non trovò fotografi preparati a intenderne la novità. Il traliccio non era ancora entrato nella sensibilità dei reporter, e quindi questo capolavoro giovanile collocato in mezzo alle verdi colline dell’Essex a una quarantina di kilometri dalla capitale del Regno Unito non è riuscito a trovare il suo cantore.

 

Hong Kong International Airport, Chek Lap Kok in Hong Kong (1998)

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Secondo Il Guinness World Recod il progetto dell’aeroporto di Hong Kong è stato il più costoso della storia. Alla ConExpo conference del 1999 (un summit tenutosi a Las Vegas per fare il punto sulla situazione mondiale dell’Architettura) fu incluso nella Top Ten delle realizzazioni del XX secolo. La ragione di questi primati sta nel fatto che, per portare a termine la colossale struttura fu necessario - letteralmente - spianare l’isola di Chek Lap Kok, antistante quella su cui sorge l’ex protettorato britannico, aggiungendo quei kilometri quadri di terreno artificiale che hanno prodotto la caratteristica rettificazione di uno dei bordi della…portaerei. Fu poi necessario unirla alla vicina isola di Lantau sulla quale fu creato un insediamento ex novo. Questo spiega come mai l’aeroporto sia chiamato anche Chek Lap Kok Airport. A Hong Kong si arriva percorrendo un’autostrada che con un lungo giro e una serie di ponti e tunnel tra un’isola e l’altra evita ai passeggeri l’incomodo di un traghetto.

L’intero progetto fu vinto da un consorzio del quale facevano parte, oltre alla solita British Airports Authority, la Foster and Partners per la struttura del terminal e la Ove Arup divenuta famosa nel mondo per aver reso possibile l’impossibile Opera House di Sidney (altra opera costata una cifre spropositata). Una particolarità del terminal di Foster - perché ce ne sono anche altri - è costituita dal fatto che i pannelli delle pareti - in vetro e acciaio - sono a inclinazione variabile, e quindi possono essere aperti e chiusi in caso di venti particolarmente violenti, così da modificare la pressione sulla struttura permettendole di resistere anche a tifoni di grado elevato.

L’interno è stupefacente. Il disegno delle luci e la copertura interna della volta - color argento come i profilati che ne consentono la statica - suggeriscono l’idea di trovarsi nel centro stesso di un continente di seta agitato da un vento leggero o sul fondo di un mare che le centine della volta fanno immaginare appena appena mosso. In altra zona sono lunghe fettucce che ricordano il bamboo a evocare l’idea - che è poi la realtà - di trovarsi alle porte dell’Asia. E nel 1998 c’era già una generazione di fotografi in grado di raccontare al mondo questa meraviglia.

 

Beijing Capital International Airport Terminal 3 (2008)

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La costruzione dell’aeroporto di Pechino (come le persone avanti con gli anni continuano a chiamare la capitale cinese) iniziarono nel marzo 2004. Il Terminal 3 fu progettato da un consorzio costituito dall’olandese NACO (Netherlands Airport Consultants B.V), dagli inglesi Foster and Partners  e dalla ARUP che abbiamo già incontrato parlando di Hong Kong e che il mondo incontrerà sempre più spesso in connessione con sir Norman Foster. Entra invece per la prima volta la Speirs and Major Associates, un gruppo di architetti britannici specializzati in opere di illuminazione.

Il costo di questa decisiva integrazione alle opere già esistenti fu di 3.5miliardi di dollari. Spesi benissimo - se è consentito dirlo - perché il Terminal 3 non si presenta solo come un complesso enormemente superiore a quanto gli sta intorno, ma anche perché, coi suoi 986.000 m2  è a tutt’oggi il più grande complesso aeroportuale costruito in un’unica fase di lavori dallo scavo alla consegna chiavi in mano alle compagnie aeroportuali. Tralasciando ulteriori dettagli si tratta del secondo aeroporto al mondo per estensione. Il primo, ma solo dal 2008, è il Dubai International Airport.

La vera questione riguardante quest’opera è che in realtà non è un aeroporto: è una vera e propria astronave aliena coloratissima venuta a posarsi sulla terra nottetempo e decisa a restarci per lo stupore degli umani. Strutture e luci che variano col (terribile) clima della capitale fanno di questo sogno architettonico una specie di piazza Tien An Men coperta che rinuncia al vuoto ortogonale proprio del modello per diventare sinuosa come la scrittura mandarina del Celeste Impero. Da dentro, la copertura pare fatta delle strisce dei dragoni festosi. Da fuori, si è già detto.

 

London Heathrow Airport East Terminal - (projected 2013)

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Sul Guardian di qualche anno fa Jonathan Glancey - uno dei più importanti critici inglesi di architettura - scrisse che la prima impressione che fa il nuovo terminal 2 di Heathrow è che è proprio come ti aspetteresti - o addirittura spereresti - che fosse. «Qui Norman Foster e la sua potente architettura raggiungono il massimo: una sequenza di spazi crespati, eleganti, rispettosi l’uno dell’altro, collocati sotto un unico tetto a profilo alare, inondato di luce naturale dalle finestre 10 metri di altezza esposte a nord, il più libero possibile dal bagliore opacizzante dell’illuminazione artificiale».

Si tratta di un passo ulteriore nella capacità di progettazione di Foster, perché - a differenza di quanto abbiamo visto a Hong Kong e Pechino - qui siamo rigorosamente in Inghilterra e, da lontano, il terminal si presenta come qualcosa di noto ai patiti dell’aviazione di un tempo: una specie di hangar della Raf, solo immenso come un sogno da film di fantascienza. «Forse Foster, un architetto in love con le strutture aerospaziali, intende promettere un’esperienza completamente nuova ai passeggeri che cercano di orientarsi nei terminal aeroportuali attualmente esistenti», scrive ancora Glancey.

Ci fermiamo qui perché l’opera è ancora in fase di completamento. Non sarà terminata prima del 2019. Però tutto fa pensare, fin da ora, che questo Terminal 2 - che potrà giovarsi della vicinanza di altre due opere di altissimo livello, a firma del fiorentino-londinese Richard Rogers - diventerà davvero a very different place.

 

Spaceport America, New Mexico - (2005-2013)

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Lo Spaceport America, in costruzione nella depressione chiamata Jornada del muerto (“il cammino che il morto percorse in un giorno”) nel deserto del New Mexico (USA) è, ufficialmente, il primo spazioporto commerciale attrezzato. Intorno è tutto Far West e corsa allo spazio: ad est si trova il White Sands Missile Range, 150 kilometri a sud c’è El Paso, a 70 Las Cruces, 32 a nordovest Hot Springs, oggi gratificata di un nome impossibile: Truth or Consequences. 40 miglia a NNE - ad Alamogordo - si tenne l’esperimento che iniziò l’era della bomba atomica. Per quanto ancora incompleto, lo Spaceport America è stato ufficialmente aperto nell’ottobre del 2011.

Qui a fare spavento non è solo il genio di Foster - la cui intera carriera di architetto sembra averlo condotto in questo spazio a metà tra i disegni di Nazca e le atmosfere del primo Sergio Leone -: è la committenza: Virgin Galactic, SpaceX, Armadillo Aerospace per dire solo delle più grandi tra gli imperi economici che - fra l’altro - hanno scommesso sul turismo aerospaziale.

Non solo. Dal 2005 la X Prize Foundation ha indicato nello Spaceport America - una volta che siano completate le strutture collaterali, di accoglienza - la sede annuale della X Prize Cup, una competizione per veicoli in grado di svolgere voli suborbitali. Chi sa chi riuscirà ad assicurarsi i diritti televisivi di questo nuovo sport. Per il resto, c’è poco da descrivere: “la cosa” va vista e basta.

 

Queen Alia International Airport, Amman, Jordan 2005-2013

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Il Queen Alia International Airport (la regina Alia è stata la terza moglie del defunto re Hussein di Giordania, morta precipitando con l’elicottero) si trova a una trentina di chilometri a sud di Amman, la capitale del regno Hascemita. Passando dal deserto del New Mexico a quello del vicino Oriente la tradizionale sensibilità per l’ambiente di sir Norman Foster ha cambiato registro. Non stile.

Abbandonato il rapporto tra acciaio e vetro che caratterizza le strutture precedenti, qui è il cemento color sabbia a disegnare una immensa aragosta (o forse l’ombra di un albero) che ricorda - incredibile ma vero - un accampamento beduino, un tappeto di preghiera e, da dentro, certe moschee come quella di Al’Aqsa a Gerusalemme o, tolti certi fregi, quella di Roma. Su scala diversa, ovviamente.

A guardarlo in atterraggio o in decollo il tetto, composto di oltre 80 cupolette grige scure sembra fatto per poterci camminare a piedi nudi. Da sotto esse assumono invece il confortante aspetto di una serie di baldacchini ventosi che tendono a disegnare gli arabeschi caratteristici dei grafismi arabi più eleganti. Scelte come queste non hanno però un carattere soltanto estetico: lo speciale cemento della struttura è stato studiato per contrastare la forte escursione termica giornaliera tipica del deserto giordano senza dover dilapidare capitali in condizionamento.

La ricorrente presenza di riferimenti alla cultura araba ha infine un altro significato: Amman non si trova sulle grandi rotte intercontinentali. La Giordania non è Dubai. Il suo traffico è fondamentalmente costituito da vettori dell’area: Royal Jordanian (la compagnia di bandiera), Emirates, Oman Air, Egyptair. Ai quali si affiancano, ovviamente, anche le grandi compagnie europee e americane. Ma qui è inevitabilmente al dromedario che va il pensiero di ogni viaggiatore e alla keffiyeh bianca e rossa.

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