Ore 21, Auditorium di Piazza Libertà

Un docufilm per raccontare Altman «Di un uomo resta la sua luce»

Un docufilm per raccontare Altman «Di un uomo resta la sua luce»
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Con una proiezione serale, organizzata da Lab80 all’auditorium di Piazza della Libertà, questa sera alle 21.00 anche Bergamo rende omaggio a Robert Altman. Altman, documentario realizzato da Ron Mann e uscito in Italia il 16 Ottobre, ripercorre la carriera e dipinge la figura di uno dei più importanti registi della storia americana.

Mann, documentarista canadese praticamente sconosciuto in Italia, si è sempre interessato molto agli aspetti materiali della cultura pop americana e canadese, con cui ha peraltro lungamente collaborato, lavorando in sinergia con alcuni gruppi musicali della scena indie. Con il suo film, della durata contenuta di novantacinque minuti, Mann racconta l’evoluzione biografica e artistica di Altman, come persona e come regista; in un caso come questo l’impresa è particolarmente ben accetta, perché nonostante Altman sia un regista d’importanza storica, non ha mai ostentato la sua immagine e non si è mai costruito come divo della macchina da presa. Egli si è sempre volutamente occultato agli occhi dello spettatore, preferendo mostrare la sua arte e le sue storie piuttosto che la sua persona; dunque Altman colma un vuoto importante e ancora oggi carico di fascino per tutti gli estimatori.

Sempre poco preoccupato dei giudizi critici, che gli hanno tributato grandi lodi o, al contrario, ne hanno abbattuto alcuni lavori, Altman si è sempre ritenuto un osservatore del caso, che si limitava a raccontare con ironia distaccata e spesso amara un paese che forse lui stesso non riconosceva più. La sua America è una costellazione di sconfitti, di persone qualunque che non hanno la minima caratteristica eroica e che osserviamo per brevi tratti della loro futile esistenza. Nonostante la sua grande capacità di analisi e la lunghezza davvero notevole di alcuni suoi lavori, la poetica di Altman risulta sempre piacevole e mai noiosa anche quando è intellettualistica: dovendo raccontare il contemporaneo, Altman non poteva permettersi il lusso di abbandonare il pubblico a riflessioni erudite, facendolo smarrire. A differenza di molti grandi autori del cinema “colto”, Altman ha sempre in mente che le immagini sono fatte per il pubblico e, anche quando inducono una riflessione, essa non è mai slegata da una carica dissacrante e spesso parodica. Per tutti questi motivi, vi suggeriamo alcuni film che vale assolutamente la pena di recuperare, se si vuole riflettere senza rinunciare a un sorriso (spesso amaro).

 

http://www.youtube.com/watch?v=lvijJ3RnRc8

 

Fra i primi lavori c’è il notevole e forse poco noto Quel freddo giorno nel parco (1969), film drammatico in cui Altman racconta i risvolti tragici e a volte quasi morbosi che può avere una storia d’amore. L’ospitalità di una donna nei confronti di un giovane che si ritrova senza una casa si trasforma ben presto in una forma di possessione paranoica che si conclude nel sangue, senza però far mancare alcuni momenti divertenti e a tratti tragicomici.

L’anno seguente Altman fa incetta di premi con M*A*S*H, film tratto da un omonimo romanzo il cui titolo identifica attraverso un acronimo l’unità mobile chirurgica da campo, impiegata da gli americani in tutti i conflitti del secondo dopoguerra. Ambientato negli anni Cinquanta durante la guerra di Corea, il lavoro di Altman propone le vicende di un gruppo di personaggi disparati, fra cui una nutrita squadra di medici e infermieri, per mostrare i retroscena umani del conflitto bellico. Anziché comporre una trama lineare, Altman inaugura qui la scelta di accostare vicende eterogenee per elaborare un quadro collettivo su un tema scottante come quello delle azioni di guerra del proprio Paese.

 

 

Forte del successo, Altman torna a giocare qualche anno dopo con la cultura pop americana: nel 1975 è la volta di Nashville, dove l’omonima capitale del Tennessee ospita annualmente un festival di musica country e western. In questo divertente ma mai sciocco carosello di personaggi, probabilmente il capolavoro del cinema americano anni Settanta, la musica la fa da padrona, con una colonna sonora vasta e impegnativa, che riempie i già movimentati e dinamici spazi del festival canoro. A partire da qui Altman raggiungerà il pieno della sua poetica, e con un’ironia beffarda e amara ci mostrerà come il sogno americano (di cui anche noi europei siamo stati e siamo vittime), sia in realtà una triste illusione.

La formula verrà ripresa e approfondita nel più recente America oggi, film di una lunghezza smodata ma che tiene incollati allo schermo: una giostra di persone e generi, toni e tematiche. Si potrebbe dire che in esso c’è davvero tutta l’America di quello che nel 1993 era l’oggi. Forse meno triste delle precedenti, la pellicola è un enorme racconto sull’umanità e sulle sue paure che, come sempre, non si lascia appesantire da sterili filosofie ma rimane ben ancorata al presente e all’umanità degli individui.

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