Ieri avrebbe compiuto gli anni

I cinque spot girati da Fellini (e cosa ne pensava della pubblicità)

I cinque spot girati da Fellini (e cosa ne pensava della pubblicità)
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Federico Fellini, notoriamente, preferiva il cinema alla televisione. Per meglio dire: detestava cordialmente il piccolo schermo. In uno dei suoi ultimi film (L’intervista, 1987), c’è una famosa scena in cui le antenne televisive sulle case della periferia di Roma alludono a una selva di lance tribali pronte ad assalire i profughi di una baracca fatta di teli impermeabili. Sono i profughi del cinema, le cui luci si sono spente poco tempo prima a causa di un temporale. Della Bufera, avrebbe detto Montale. Tre anni dopo (La voce della luna è del 1990) è la luna stessa ad annunciare la pubblicità alla fine di un dialogo con un Benigni tra sognante e sperso che si lascia andare a pensare che forse il silenzio potrebbe meglio aiutare a capire il mistero delle cose. Esistono anche altre dichiarazioni sparse sull’argomento.

Per Barilla. Fellini, all’epoca dei due film ricordati, aveva già lavorato non solo per la televisione, ma addirittura per l’abominata pubblicità. Nel 1985 era stato l’industriale Pietro Barilla a convincerlo a girare uno spot, fidando probabilmente più sul clamore che avrebbe suscitato l’operazione in sé - una specie di mission impossible - che sul contenuto del filmato. Non  per nulla il nome del regista compare in basso a sinistra del teleschermo, cosa rara se non rarissima. Per dire: siamo i Fellini della pasta, noi.

Però anche lo spot - intitolato Alta Società - non è male. Al cameriere barbuto e inamidato che sciorina una sfilza di raffinati piatti francesi dai nomi che non finiscono mai la signora al tavolo (lunare, bellissima ed elegantissima) oppone un sorridente, perentorio, definitivo:  «Rigatoni». Messaggio: I francesi ci hanno stufato. Parliamo di cose serie. Gli studiosi si sono poi dedicati a cogliere nella breve sequenza tutti i possibili echi della filmografia felliniana, che non sono pochi, ma sono anche ultra evidenti.

 

 

Per Campari. Visto che c’era riuscito il re della pasta, anche Campari - a breve distanza di tempo - pensò di potercela fare. Qui il cliente partiva avvantaggiato, perché la sua casa poteva vantare collaborazioni di prestigio tra i suoi pubblicitari: artisti come Fortunato Depero, Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello. Ossia il Gotha delle affiches e delle etichette, per i quali il Longhi (una leggenda, fra i critici d’arte) aveva detto che l’espressione artistica più alta di quegli anni si trovava nella cartellonistica. Dunque Fellini poteva pensare di essere in buona compagna.

Ne nacque uno spot molto interessante (Che bel paesaggio) nel quale una ragazza annoiata continua a cambiare con un telecomando quel che vede fuori dal finestrino del treno fino a che il viaggiatore seduto di fronte non le presenta la Piazza dei Miracoli di Pisa. La celeberrima bottiglia rossa si colloca davanti al Battistero pisano come, più di trent’anni prima, il bicchiere di Vodka Smirnoff splendeva nel tramonto infuocato nell’immagine di Bert Stern, l’immortale. Sullo sfondo, la piramide di Cheope a Giza. Dunque, Campari: più di un capolavoro, un miracolo.

 

 

Per Banca di Roma. Poi i tre spot per la Banca di Roma, l’ultimo dei quali pochi mesi prima di morire. Hanno per protagonista Paolo Villaggio (già presente nel film La voce della luna) che sogna eventi terribili prima di recarsi da un anziano signore che lo rassicura. È uno psicologo che gli consiglia di rivolgersi alla Banca. Per suggerire che la medesima non eroga solo servizi finanziari: prima di ogni altra cosa dona infatti la tranquillità. Permette sonni tranquilli.

Due di questi spot sono bui e terribili. Il primo vede un Villaggio vestito alla marinara alle prese con la visione di una bella signora olandese che gli aveva turbato i sogni di ginnasiale non cresciuto. A un certo punto vien fuori anche un leone che svolge la funzione che nei racconti di Borges hanno le tigri.

 

 

Il secondo, se possibile, è ancora più buio, perché l’auto del protagonista si infila in una galleria che comincia a crollare. Claustrofobi, siete avvisati: se ne esce.

 

 

Il terzo - ma il primo in ordine cronologico - è più luminoso e evoca i film muti in cui un personaggio legato sui binari vede arrivarsi addosso una locomotiva sparata a tutto vapore. Assieme a Villaggio una giovane Anna Falchi che chiama il suo interlocutore con la voce che aveva Anitona quando diceva a Marcello di avvicinarsi.

 

 

Il primo, quello della Barilla, resta il migliore, seguito dal Campari. La questione è la seguente: cinema e pubblicità utilizzano gli stessi attrezzi (macchina da presa, attori, fondali o paesaggi), ma il loro linguaggio è radicalmente diverso. Il primo ha un solo scopo: mostrarsi, farsi vedere. La spesa che chiedono allo spettatore è quella del biglietto. La pubblicità ne ha uno ben diverso: spingere lo spettatore ad acquistare un prodotto che non è la semplice visione, ma un oggetto che sta fuori, nel mondo. Non è detto che chi eccelle nella lingua del cinema riesca bene anche nella seconda.

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