Il film da vedere nel weekend Steve Jobs, la Apple diventa cinema
Regia: Danny Boyle.
Cast: Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels, Michael Stuhlbarg, Katherine Warerson, Sarah Snook, Adam Shapiro, Perla Haney-Jardine, Ripley Sobo, Makenzie Moss e John Ortiz.
Dove vederlo a Bergamo e provincia: qui.
Era il 2011 e Steve Jobs si spegneva a Palo Alto. Da allora la sua figura è stata al centro di un’attenzione mediatica spaventosa. Certo, anche in vita il leggendario genio di Apple non era uno sconosciuto, ma la sua identificazione come individuo illuminato è avvenuta in concomitanza con la sua dipartita. Ne è prova lo straordinario successo social del video, ormai divenuto cult, del suo discorso agli studenti nel quale pronuncia la famosa frase «stay hungry, stay foolish» (siate affamati, siate folli). Questo successo non sorprende. Steve Jobs è stata ed è, per certi versi, una figura iconica da un punto di vista visivo (non solo per quanto concerne l’abbigliamento, ma anche nei riguardi di pose e atteggiamenti) e decisamente in linea con i tempi. Così come non stupisce l’altissima qualità formale del film Steve Jobs, realizzato da Danny Boyle e approdato in questi giorni sugli schermi italiani.
La formula del biopic è ormai divenuta un genere cinematografico consolidato: non c’è personaggio della cultura pop che non sia stato protagonista di una rivisitazione cinematografica della propria vita. Si tratta di un andamento costante degli ultimi anni, con il quale si sono confrontati registi di chiara fama (basti ricordare Clint Eastwood, che in American Sniper ripulisce anche la biografia certo non candida di un cecchino dell’esercito americano). Da un regista visionario come Boyle, che può anche aver perso un po’ del lustro di un tempo ma resta comunque un autore di alto livello, ci si aspettava un grande lavoro, in grado di trasmettere su schermo non solo la vita ma anche il senso dell’opera di Jobs. E, attraverso l’ottima interpretazione di Michael Fassbender, attore che sta rapidamente scalando le vette della recitazione hollywoodiana, pare esserci riuscito.
Tutto, a partire dalla locandina del film, ci parla dell’universo Apple. Semplice, funzionale, ridotta a pochi elementi e ad un’estetica accattivante, la grafica del poster rimanda direttamente al concetto fondamentale della filosofia informatica di Steve Jobs: aumentare l’usabilità dei sistemi computerizzati per incentivare le vendite e l’utilizzo privato da parte degli utenti. Grazie all’ottima sceneggiatura messa in piedi per l’occasione, Boyle ha gioco facile nell’utilizzare il suo stile visivamente affascinante nel raccontarci la morte e la resurrezione (lavorativa) del genio dell’informatica: sbeffeggiato e allontanato dalla sua posizione, Jobs riesce, faticosamente e solo a prezzo di grandi sacrifici, a dar forma alla sua idea. Mai come in questo film vediamo un ritratto profondamente umano, disegnato con tratti veloci ma precisi, in grado di scendere in profondità e di parlarci di veri drammi umani.
Siamo lontani, quindi, dall’immagine del genio maledetto. Più vicini forse a quella del profeta, che accusato di falsità dai suoi si ritira in preghiera e quando scende dal suo eremo è cambiato al punto che la forza delle sue argomentazioni si fa travolgente. Lontano dalle luci della ribalta, il film di Boyle gioca con le ombre di un personaggio ormai mitico, che però non si lascia afferrare nei suoi lati morbosi e maniacali (cosa che è invece uno dei punti di forza dei lavori di Scorsese, soprattutto nei film interpretati da Leonardo DiCaprio). Un uomo quieto, testardo e fermamente convinto della bontà delle sue azioni. Un film profondo, in grado di parlare non solo di Jobs ma anche e forse soprattutto di Apple e del valore generazionale e mediatico che la rivoluzione del personal computer ha avuto per chi, oggi, si reca in sala a vedere il film.