Firmato da Wes Anderson

Il Bar Luce di Prada a Milano Proprio un Grand Budapest Hotel

Il Bar Luce di Prada a Milano Proprio un Grand Budapest Hotel
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Hanno scelto di stare lontani dalle vie glamour del centro. Si sono insediati in piena periferia sud della città, ai margini dell'immensa area ancora in cerca di una destinazione dello Scalo di Porta Romana. Hanno rilevato gli edifici logori di una vecchia distilleria e hanno aperto in questo luogo improbabile e imprevisto, una vera isola del tesoro. È la nuova sede di Fondazione Prada, che il 9 maggio apre al pubblico, ma che si è già fatta scoprire da giornalisti e da qualche curioso con i giorni della preview, stile Biennale di Venezia.

Il luogo è di quelli che se non li vedi non ci credi: basta varcare il cancello che dà su via Isarco, una strada in cui nessuno avrebbe mai pensato di portare niente, men che meno la struttura di rappresentanza di una delle case di moda più "in" del mondo. Si potrebbe parlare a lungo degli edifici lineari e solenni progettati dal mago Rem Koohlaas, del palazzetto che era povero ma che oggi rifulge con il suo stupefacente rivestimento d'oro, del grande deposito in cui sono parcheggiate una decina di auto strane, che in realtà sono opere d'arte, dei lunghi corridoi elegantemente stipati di opere collezionate da Miuccia Prada e da suo marito (si vede, appeso su una scala, anche il grande Barnett Newman comprato, lo scorso anno, per 25 milioni di dollari). Si potrebbe parlare di tutto questo e d'altro ancora, in particolare della mostra inaugurale affidata ad un grande storico come Salvatore Settis, e sorprendentemente dedicata all'archeologia (un’esposizione che prende in contropiede: vi si vede un calco di uno dei Bronzi di Riace con tanto di coloritura per capire come dovevano essere in origine: l'effetto è stupefacente).

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Ma tra tante meraviglie e sorprese, realizzate senza badare a spese, il top lo si tocca quando si arriva al bar. Anche qui i coniugi Prada hanno voluto fare le cose in modo speciale e hanno chiamato il grande regista Wes Anderson a progettarlo. O meglio a inventarlo. Anderson è l'autore del magnifico Grand Hotel Budapest,  premiato agli Oscar, un film in cui ha potuto mostrare quanto la fantasia in azione possa reinventare straordinari interni. A Milano Anderson ha immaginato uno spazio che rievoca il clima degli eleganti caffè ambrosiani: ordinato, tranquillo, un po' d'antan. Un luogo speciale, in cui si perde un po' la dimensione del tempo (nel senso dell'epoca in cui ci troviamo) e in cui sembra di entrare nella magia di un set cinematografico. Tavolini eleganti in formica, rivestimento con carta da parati, flipper e giochi d'altri tempi fanno fare davvero un viaggio nel tempo. Anderson ha curato tutto, anche la disposizione delle bottiglie nelle vetrine e dietro i banconi, con la minuzia di chi sa che lì andrà magari a insistere la cinepresa e quindi quel particolare non sarà più un particolare. Rispuntano etichette che avevamo dimenticato (quant'è bella la vetrina con i liquori Strega), e si vede un banco dei gelati come quelli sani di un tempo: quattro contenitori, coperti da coperchio, per i quattro gusti che contano.

Il bar, quando aprirà al pubblico, sarà accessibile anche direttamente dalla strada, e possiamo immaginare l'effetto straniante, passando da quella via un po' délabré della periferia, alla magia del Bar Luce. Questo è infatti il nome scelto, con un richiamo alla grande Italia degli anni Trenta. «Credo che sarebbe un ottimo set, ma anche un bellissimo posto per scrivere un film», ha detto Wes Anderson. «Ho cercato di dare forma a un luogo dove mi piacerebbe trascorrere i miei pomeriggi “non cinematografici”». Per lui è così. Per tutti gli altri è un luogo dove a chiunque piacerebbe passare dei pomeriggi dal sapore molto cinematografico.

[Foto Gambero Rosso]

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