Milano, fino a gennaio 2018

Iñárritu ci trasforma in migranti con una mostra in realtà virtuale

Iñárritu ci trasforma in migranti con una mostra in realtà virtuale
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Al centro di CARNE y ARENA (carne e sabbia), la mostra del regista Alejandro Iñárritu, visitabile fino al 15 gennaio 2018 alla Fondazione Prada di Milano, c’è un muro. È quello eretto al confine tra Messico e Stati Uniti, che dal 1994 ha visto morire, nel tentativo di attraversare la frontiera, più di 6mila persone.

Ci sono una stanza, una porta di ferro, un pezzo di muro e poi mucchi di scarpe squarciate: ballerine, infradito, scarpe da ginnastica perse da uomini, donne e bambini morti nel deserto. Anche ai visitatori viene chiesto di togliersi le scarpe per camminare sulla sabbia con uno zaino sulle spalle e addosso il casco virtuale. Ci si ritrova nel deserto messicano, si sente arrivare un elicottero. Si vede una donna che zoppica, una coppia con un bambino e un uomo con un neonato al collo. Arrivano due camioncini da cui scendono agenti che puntano i fucili contro tutti, compresi i visitatori della mostra, parte integrante dell’azione grazie alla realtà virtuale.

 

 

Un giovane in manette urla la sua storia, poche battute per condensare un dramma comune a migliaia di latinos che provano ad attraversare la frontiera tra Stati Uniti e Messico alla disperata ricerca di un futuro migliore, cercando un varco in un confine lungo 1.954 miglia (3.145 chilometri), che dall’Oceano Pacifico arriva fino al Golfo del Messico. Una storia antica, quella dei messicani che rischiano la vita per arrivare negli States, che passa da quel primo filo spinato che nel 1971 fu usato come barriera protettiva, diventata negli anni sempre più grande, fino ad essere trasformata in un muro e poi in due muraglie, che coprono oggi i ventidue  chilometri tra San Diego e Tijuana, uno dei passaggi più “popolari”.

Una mostra che usa la realtà aumentata per raccontare la condizione di migrante, per rendere i visitatori virtualmente presenti, parte di un dramma che spesso rimane invisibile. Tra i visitatori c’è chi piange, chi cerca di strappare il bambino e chi grida. Tutti ammettono che la realtà virtuale ha fatto loro cambiare prospettiva, calandoli in storie che credevano di conoscere, delle quali quasi tutti avevano già sentito parlare ma che, sulla carta o in un filmato, non erano riuscite a colpirli, a toccarli nel profondo. L’idea di sfruttare le potenzialità della realtà virtuale per far vivere l’esperienza immersiva di un dramma umano era qualcosa a cui il regista messicano pensava da tempo, immaginando il VR come un modo per rendere di nuovo interessante la realtà, ridandole il significato di cui spesso è stata svuotata, per farla carne, fame e deserto attraverso l’utilizzo di cuffie e visori in ambienti multiproiettati, dove immagini e suoni fanno sembrare vera un’esperienza virtuale.

 

La presentazione di Carne y arena a Cannes

 

L’immigrazione è, del resto, un tema caro al regista autore di 21 Grammi e Babel, oltre che di Birdman e The Revenant. Una questione vissuta, con i dovuti distinguo, in prima persona, quando, tra i 17 e i 19 anni Iñárritu ha attraversato l'Atlantico su una nave da carico lavorando come mozzo. Visitabile fino al 15 gennaio, Carne Y Arena è una mostra nata per risvegliare dal torpore in cui notiziari e reportage troppo spesso ci lasciano, quando il dolore, la fame, gli stenti dei migranti si annullano dietro i numeri dell’ennesimo fallito tentativo (via terra o via mare) di raggiungere il paese promesso. Una mostra che è molto più di una semplice esposizione; un’esperienza sensoriale per far sentire sulla propria pelle quello che prova un migrante, per rendere di nuovo visibili le vite scomparse nel deserto così come, vicino a noi, nel mare.

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