Fino al 2 agosto, a Londra

La «bellezza selvaggia» della moda Il genio di McQueen in mostra

La «bellezza selvaggia» della moda Il genio di McQueen in mostra
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Fino al 2 agosto, Londra celebra il talento selvaggio del suo figlio più geniale, Alexander McQueen. Amato, osannato, incompreso, esaltato, “Lee” è stato un personaggio enigmatico, geniale e ribelle. Non è possibile ridurre la sua vitalità con l’etichetta di stilista, perché McQueen era un vero artista e ogni suo defilée una performance. Si  esponeva in modo temerario. La passerella era l’attimo liberatorio per esprimere la sua dirompente creatività.

Numeri da urlo. Il Victoria & Albert Museum, definito dallo stesso McQueen «il tipo di posto in cui vorrei rimanere chiuso di notte», ha portato nella capitale britannica Savage Beauty, una mostra che ha già fatto il tutto esaurito negli States. Nel 2011, l’anno successivo alla sua morte, gli fu dedicata una retrospettiva al Met di New York, diventata una delle mostre più popolari nella storia del museo, con oltre 660mila visitatori. Oggi l’omaggio a McQueen ha luogo nel suo paese d’origine. 30mila biglietti per la mostra Savage Beauty di Londra erano già stati venduti prima dell’apertura. Mai prima d’ora una mostra allestita al museo di South Kensington aveva sbancato il botteghino prima della sua inaugurazione, tanto che il V&A ha annunciato l’emissione di 50mila nuovi ticket.

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Tutto il genio di McQueen. La parabola di McQueen, la sua bellezza selvaggia, che vive libera, che segue l’istinto e si muove fluida sarà documentata attraverso 200 capi e oggetti esposti, testimoni di un flusso creativo che si sublimava grazie ad alcuni temi ricorrenti come il “sartoriale sovversivo”, i giochi di luci e ombre, le ispirazioni tratte dal mondo animale e naturale, la commistione fra artigianalità e tecnologia. Una bellezza in bilico tra eccessi e opposti, tra bianco e nero, bene e male, delicato e forte, ruvido e suadente, tra gli infiniti contrasti che popolavano la sua anima. La sua ossessione per i costumi storici lo portò spesso al Victoria and Albert Museum. Qui tornerà adesso per essere osservato.

La sua incredibile storia. Lo stesso team della prima mostra, formato da Sam Gainsbury e Anna Whiting, ha riprogettato Savage Beauty, arricchendola di nuovi elementi rispetto all’esordio americano, per raccontare anche i primi anni di “Lee”, quando il figlio di un tassista scozzese e di una maestra affinava la sua leggendaria capacità di tagliare tessuti con mano sicura a Savile Row, tempio della sartoria maschile inglese, prima di andare a lavorare da Romeo Gigli a Milano per poi tornare a Londra e diplomarsi alla Central Saint Martins, fucina di talenti della moda britannica e internazionale. La carriera di McQueen, che dal 1996 al 2001 è stato direttore creativo di Givenchy, è stata segnata dalle collaborazioni con musicisti del calibro di David Bowie e Björk, e dalla presenza di assistenti e amiche fidate come Isabella Blow, la stylist dalle mises incredibili che lo ha lanciato, e Sarah Burton, che dal suicidio dello stilista ha preso le redini del gruppo e lo sta portando avanti con successo, come dimostrato dal fatto che è stata lei a disegnare il vestito da sposa della Duchessa di Cambridge.

 

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Le meraviglie esposte. McQueen ha sempre affermato la propria natura di performance artist, motivo per il quale per molto tempo non mise in vendita le sue creazioni. La sua missione non era produrre vestiti. La moda, come lui stesso aveva dichiarato, era solo un mezzo. L’introspezione, l’osservazione degli elementi naturali e l’idea di meraviglia davanti all’immenso sono gli elementi che hanno caratterizzato il suo mondo. E la mostra è – appunto – meraviglia, con la più ricca raccolta di pezzi disegnati dallo stilista a partire dalla raccolta post-laurea del 1992 di McQueen alla Central Saint Martins School fino ai suoi disegni finali per la sfilata A/I 2010, anno della sua scomparsa. In esposizione, abiti e accessori memorabili, come gli splendidi e al contempo bizzarri stivali con plateau e i vestiti con stampe digitali creati per la collezione Plato’s Atlantis del 2010. Un viaggio che sfuma i confini tra arte e moda. Tra mondi incantati, creature infernali e una ricerca che va oltre l’abito. Se da una parte le sue creazioni sono l’esplosione primordiale di astrazione e istinto, dall’altra è impossibile non rimanere colpiti dalla costruzione sartoriale quasi architettonica.

Proclamato ben 4 volte Best British Designer, del resto, Alexander McQueen ha sempre spinto l’acceleratore della creatività all’eccesso. Pensate alle leggendarie scarpe Armadillo, con il tacco da 20 a 30 centimetri e la forma definita «pericolosa» da molte modelle. Ogni sfilata dello stilista inglese appariva come una provocazione, nelle forme e nei colori, così come nella scelta delle location, drammatiche e stravaganti, in perfetto equilibrio tra performance teatrale, musicale e cinematografica. Un’enorme stanza della galleria sarà dedicata alla ricostruzione di Pepper’s Ghost, ologramma spettrale di Kate Moss che apparve come gran finale della sfilata McQueen del marzo 2006, avvolta in un abito ondeggiante d’organza. Un astro e un estro indelebili, davvero.

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