La preziosa tela firmata da Dalì che farà da sipario al Donizetti
Martedì 15 dicembre il Teatro Donizetti inaugura la propria stagione di prosa con un’opera incentrata su un telero dipinto nel 1944 da Salvador Dalì. Uno spettacolo della compagnia di Daniele Finzi Pasca - intitolato La Verità - che celebra uno spettacolare ritrovamento per il mondo dell’arte e spiega qualcosa di come il grande surrealista concepiva le sue scenografie. La Verità sarà presentato il 15 dicembre per la prima volta e proposto in replica fino al 20 dicembre, mentre sono già cominciate tutte le iniziative collaterali progettate per celebrare il dipinto di Dalì attorno a cui tutto ruota. Il programma completo degli appuntamenti è disponibile sul sito del Teatro Donizetti, qui.
Il telero ritrovato di Dalì e la sua storia. L’intero spettacolo della Compagnia Finzi Pasca è dedicato al ritrovamento di una scenografia originale di Salvador Dalì raffigurante Tristano e Isotta. Il gigantesco telero misura 15 metri ed è stato riscoperto nel deposito di un teatro dopo che se ne erano perse le tracce per almeno 60 anni. Per capire cosa sia successo è necessario tornare indietro fino al 15 dicembre del ’44, quando a New York andò in scena il balletto Tristan Fou, versione surrealista dell’opera Tristano e Isotta di Wagner. Salvador Dalì fu incaricato di dipingere la scenografia e produsse due grandi tele: una relativa alla foresta degli idilli e l’altra raffigurante l’isola della morta in autunno (anche di queste si hanno scarse notizie). Lo spettacolo fu rappresentato una sola volta, dopodiché della scenografia del grande pittore si persero le tracce.
Solo 60 anni più tardi, per un caso fortuito, nella cassa di un deposito teatrale spuntò uno di questi teleri, quello con Tristano e Isotta. Ma – si è appena detto – le scenografie erano due e dedicate a paesaggi. Cosa rappresenta allora questo dipinto? Non corrispondendo a nessuna delle scene di cui si ha testimonianza fotografica, si avanza l’ipotesi che il telo con Tristano e Isotta non sia un vero e proprio fondale ma piuttosto un sipario, probabilmente esposto prima dell’inizio dello spettacolo e con la funzione di anticipare ciò che gli spettatori avrebbero visto. Sulla stessa idea il regista Daniele Finzi Pasca, grande conoscitore del pittore andaluso, su invito di una fondazione europea che ha acquisito il telero nel 2010 (e chiesto di rimanere anonima), ha elaborato il suo spettacolo utilizzando l’opera come un sipario, aperto e chiuso in vari momenti e arricchito dalle scenografie di Hugo Gargiulo.
Un’interpretazione non facile. Il dipinto non è di facile interpretazione. Se non sapessimo con certezza che si tratta di Tristano e Isotta non potremmo nemmeno affermare chi sono i personaggi dipinti. Per approfondire i significati dell’opera, il Teatro Donizetti ha organizzato una conferenza con il professore Elio Grazioli, docente di Storia dell’arte contemporanea dell’Università di Bergamo, che ha ricostruito l’iconologia del telero, spiegandone l’origine delle figure. A sinistra c’è Tristano in una posa solo apparentemente effeminata, che in realtà rappresenta la tensione e il desiderio. A destra Isotta, avvolta in un abito azzurro che le copre il volto, a raffigurare forse la sua verginità. Dalì, infatti, nella sua interpretazione della storia di Tristano e Isotta, esalta l’aspetto erotico di questa tensione crescente che si respira nell’amore mai consumato fra i protagonisti. Il tutto è amplificato dal destino di morte che colpisce i due e che li trasfigura nella rappresentazione mitica di eros e thanatos - amore e morte - appunto. L’insieme del dualismo amore e morte, unitamente al metodo paranoico di creazione di Dalì che affonda le sue radici nella psicanalisi freudiana e nell’esaltazione degli impulsi sessuali, fornisce quindi la chiave di lettura più plausibile per poter comprendere appieno questo enorme dipinto.
Lo spettacolo. La verità non è uno spettacolo che parla di Tristano e Isotta. L’opera messa in scena dalla Compagnia Finzi Pasca è piuttosto ispirata al lavoro di Salvador Dalì e alla sua personale ricerca della verità. Una verità alla quale il pittore arriva spesso attraverso il delirio e l’esasperazione, ma che lo ha portato a produrre quelle opere così poeticamente visionarie che noi tutti oggi ammiriamo. Lo spettacolo è quindi una storia surreale di mani con dita lunghissime, ombre che deformano le proporzioni, scale sospese nel vuoto, equilibri impossibili, in una continua tensione verso la ricerca creativa. Un poema acrobatico con 13 ballerini in scena che ben si interseca con l’idea visionaria che lo ha ispirato.