Capitale della cultura 2016

Mantova si attraversa in 20 minuti ma a contemplarla ci staresti ore

Mantova si attraversa in 20 minuti ma a contemplarla ci staresti ore
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Mantova sarà la capitale italiana della cultura per il prossimo anno. Lunga vita ai Mantovani. Ha prevalso in un lotto di dieci. Oltre alla vincitrice: Aquileia, Como, Ercolano, Parma, Pisa, Pistoia, Spoleto, Taranto e Terni. Dove caschi, caschi male cioè bene, verrebbe da dire.
Il sindaco ha detto che farà emergere i meriti della città. Si immagina che farà emergere i meriti del progetto presentato in gara, perché quelli della città si conoscono da sempre. Da tempo immemorabile: un’infilata di perle l’una più incredibile dell’altra, da Virgilio a Nuvolari. I giornali online hanno elaborato in quattro e quattr’otto visite guidate chi a dieci, chi a sei monumenti imperdibili. Ma basta andare su Wikivoyage (#Cose da vedere ) per farsi un piano d’attacco assolutamente agguerrito. Manca soltanto l’indicazione della Loggia di Giulio Romano detta anche Pescherie in Lungorio IV Novembre. Ce l’ha il Corriere.

In tutte le interviste il sindaco ha anche ripetuto che la sua è una città che si attraversa a piedi in una ventina di minuti. È vero. Però va anche detto che in alcuni punti uno resterebbe delle ore a guardarsi intorno, in alto, a destra e a sinistra, tanto son belli. La rotonda di San Lorenzo: volete mettere? E anche qui, ora, si ha difficoltà a preferire una cosa ad un’altra. Per cui facciamo così: ci occuperemo di quel che gli altri non hanno notato tanto.
Cominciando dai caffé del centro. Perché Mantova è città di nebbia e di provincia. Dunque una cosa da fare certamente -magari se è sera e pioviggina - è chiudersi in un caffé a chiacchierare al caldo, e lasciare che il selciato delle vie e delle piazze luccichi sotto i lampioni. Rari i passanti. Poi si esce e si va in giro quasi flâneurs 2.0. Mantova è famosa per il suo Festival della Letteratura che quest’anno compie 20 anni: quale migliore occasione per comportarsi come il sublime Baudelaire e far di questa città padana una specie di rubino al collo dell’altra?

 

 

Poi l’acqua. Mantova, se si vuole annusarla bene, va vista dai laghi. O facendone il periplo in bici o, potendo, lasciandosi portare su una piccola barca e silenziosa. A Bâte gnifa, come scriveva Biagio Marin, poeta di Grado, ricordando le ore passate nella sua laguna sull’orlo del sonno, con qualche vela nella coda dell’occhio e il cielo alto sopra la marina. Bâte gnifa significa "A far niente". Ossia semplicemente a lasciarsi vivere. Ogni tanto dare un’occhiata allo skyline, al profilo della città smangiato dalla calura, magari. O dalla bruma.

Se avete con voi dei bambini, per favore non dimenticate di portarli al Museo dei Vigili del Fuoco. È un posto bellissimo anche senza quel che c’è dentro. Però se la vita vi ha preso un giorno prima di poter giocare per l’ultima volta con le macchinine, nel museo dei Pompieri vi troverete come in una specie di sogno ad occhi aperti, perché le macchinine sono diventate improvvisamente grandi, rosse e come nuove, anche se sono antiche.

Se, invece, avevate una casa grande - a due piani, magari - delle bambole, con tutti i coccíni (le pentoline, le brocche di coccio smaltato, le poltroncine, gli armadi a vetro) dovete assolutamente andare alla casa museo di Palazzo d’Arco, dove due nobili golosacci avevano organizzato, per i loro amici, una cucina che al loro tempo doveva costituire quel che oggi è il Department of Food Science alla Cornell University. Ovvio che il fascino di Palazzo d’Arco è centomila volte superiore.

Poi, d’accordo, ci sono Mantegna sparso dappertutto e che non si è mai finito di scoprire (c’è perfino la sua casa); c’è l’immensa e stortignaccola Piazza Sordello, c’è il palazzo Te con gli affreschi di Giulio Romano. Lo strepitoso teatro Bibiena, con quell’attributo fuorviante (Scientifico) che forse ha il vantaggio di aumentare la sorpresa quando si entra in sala e non si vorrebbe uscirne mai più. È un teatro semplicemente perfetto nelle sue proporzioni e nella sua collocazione mantovana. Potrebbe essere un caffé settecentesco, con Mozart quattordicenne che suona il clavicembalo (lo ha fatto veramente) e gli altri che sorbiscono la cioccolata.

 

 

E a proposito di perfezione, se andate a Mantova non dimenticate di passare qualche ora dentro la Basilica di Sant’Andrea, lo spazio più perfetto (non c’è altra parola per dirlo: perfetto) che si possa immaginare. Per capirlo bisogna, per dir così, metterselo addosso: questa è la ragione per cui bisogna passarci del tempo. Non basta semplicemente dare un’occhiata. Per questo l’abbiamo ricordata anche se la raccomandano tutti, quando si parla di Mantova. Noi abbiamo aggiunto alle solite indicazioni il tempo. Che sia di Leon Battista Alberti già lo sapevate.

E intanto che ci siamo, una visita al (nuovo) Museo Tazio Nuvolari andrebbe fatta. Se non altro per una foto in cui ci sono lui -il mantovano volante -, la moglie, e una coppia tedesca. Il marito è Bernd Rosemeyer, pilota che sarebbe morto di lì a poco quando una ventata fece impennare l’Auto Union che stava testando in pista. È una foto di una malinconia spaventosa, nonostante i quattro siano tutti sorridenti. O forse proprio perché lo sono.

Di Mantova era anche il grande Learco Guerra, ciclista di fama negli anni prima della guerra, il cui museo era prima ospitato in quello di Nuvolari e adesso si trova in una sala del PalaBam in attesa di una collocazione più degna.

 

 

A questo punto non resta che prendere anche noi la bici e seguire una a caso delle mille ciclabili che partono dalla città verso destinazioni che anche in questo caso dove cadi cadi e va sempre bene: Peschiera, il Parco del Mincio, Sabbioneta.

Solo una cosa resta da chiedersi: come facciano, i giurati della fondazione Città della Cultura che ha attribuito il prestigioso riconoscimento alla città di Virgilio a sceglierne una piuttosto che un’altra. Perché Mantova ha anche questo di bello: che quando la si scopre mette dentro la nostalgia di tutte le altre grandi e piccole città che abbiamo, ed essere qui è un po’ come essere anche nelle altre, ciascuna col suo stile, la sua storia, i suoi progetti. È forse sapendo questo che la fondazione si è costituita: perché non finiranno mai le località italiane capaci di stupirci e ristupirci ogni volta che ci torniamo. Della cucina mantovana, invece, non parliamo. È eccelsa (ma eccelsa davvero) però con tutto il parlare che si fa di cibo in televisione e dappertutto, lo credereste?, ci pare di star cadendo in una minacciosa forma di anoressia. Dunque: silenzio assoluto.

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