Dal 19 al 22 gennaio, con coda a fine febbraio

Paolo Rossi fa Molière al Donizetti E sbeffeggia il potere a modo suo

Paolo Rossi fa Molière al Donizetti E sbeffeggia il potere a modo suo
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Molière ha scritto nel 1663 una commedia anomala – L’improvvisazione di Versailles (L’Impromptu de Versailles) – nella quale mette in scena sè stesso e la sua compagnia, dichiarando apertamente le proprie idee sull’arte drammatica. Teatro nel teatro, quindi. Con l’intento di fondare anche teoricamente la nuova commedia di carattere e di costume, nella quale Molière aveva già dato eccellente prova di sé, facendo propria con assoluta originalità l’esperienza del teatro comico italiano e in particolare della commedia dell’arte.

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Stefano Massini, Paolo Rossi e Giampiero Solari hanno riscritto quell’opera, con l’intento di indagare l’essenza dell’arte comica, fondendo la tradizione e l’attualità con rigore e poesia. Con Rossi in scena, ne nasce una divertente rappresentazione della vita quotidiana dei teatranti, tra brani tratti dalle commedie più celebri e stralci della biografia straordinariamente affascinante del grande capocomico francese. Molière: la recita di Versailles, questo il titolo dello spettacolo, è al Donizetti da giovedì 19 a domenica 22 (20.30 da giovedì a sabato, 15.30 la domenica) per la stagione di prosa. Con coda martedì 28 febbraio e mercoledì 1 marzo. La produzione è firmata dal Teatro Stabile di Bolzano. «Molière mi attira perché subisco il fascino di quell’epoca; da capocomico, mi sento vicino a lui, ai suoi problemi, sia nella vita sia nella gestione della quotidianità del teatro - sostiene Rossi -. Mi attira perché è trasgressivo e innovatore, ma con ampio sguardo verso la tradizione». La continua ricerca di una nuova cifra stilistica che rendeva ogni spettacolo di Molière un manifesto per una recitazione più naturalistica e al passo con i tempi, ci porta direttamente ai nostri giorni, come recita un passo dello spettacolo: «Oggi recitano tutti, i commercialisti, i dottori, i politici. Quelli che recitano peggio sono gli attori. Ma solo se continuano a recitare alle vecchia maniera».

 

 

Paolo Rossi e Giampiero Solari teorizzano la coesistenza sul palco dell’attore, colui che conosce il mestiere, dei personaggi che evoca e interpreta, e della persona stessa: una compresenza scenica che permette un’improvvisazione rigorosa, agita da una compagnia di grande esperienza e professionalità che renderà ogni sera lo spettacolo veramente nuovo. Fra brani tratti dalle commedie più famose di Molière e stralci della sua biografia, fra balli in talare e saio e gli sproloqui di un Rossi papa e papà in abito bianco e basco con stella rossa, prende corpo una satira al vetriolo che colpisce politici ed ecclesiastici, ma non risparmia per l’appunto i teatranti. Come gli attori disoccupati che affittano sale periferiche per mettere in scena attori disoccupati, davanti a invitati che sono a loro volta attori disoccupati. Che ricambieranno la cortesia in un circolo deprimente senza fine. In scena, ad affiancare Rossi/Molière, una nutrita compagnia composta da attori e musicisti, come Lucia Vasini, Fulvio Falzarano, Mario Sala, Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari, Stefano Bembi, Mariaberta Blasko, Riccardo Zini, Irene Villa, Karoline Comarella e Paolo Grossi.

«Il potere ha cambiato faccia, è sfuggente». Uno spettacolo d’amore e d’anarchia, smaliziato e ironico, ricco di coloriture blues e rock. Come la «Canzone arrabbiata» che lo introduce, omaggio a Mariangela Melato. Una rappresentazione, sopratutto, basata su un canovaccio, con tanta improvvisazione. Il risultato, per lo spettatore, è ogni volta una sorpresa. «Lo spettacolo ha salti di tempo, di spazio, di epoche - racconta Rossi -. Si passa dal 1600 a domani mattina in un secondo, e non tutte le sere è uguale. Con gli attori, di sera in sera, siamo entrati in prima persona dentro il grande lavoro sull’improvvisazione. Per improvvisare ci vuole allenamento, ci vuole training, ci vuole un minimo di sapienza teatrale». Di base ogni volta, c’è il grande amore di Paolo Rossi per il grande drammaturgo francese. «Molière mi piace, mi fa godere e mi consola - dice l’attore -. Mi affascinano le voci che circolano sul suo lavoro, sulla sua vita privata, sulle scadenze, sulle commissioni, sui temi pericolosi da recitare in un ambiente ancor più pericoloso, sulle rivalità degli altri teatri ma soprattutto sulle leggende riguardanti la sua compagnia. Compagnia che mi è sempre apparsa come una famiglia che oggi chiamerebbero allargata». Certo, i tempi della satira più pungente paiono lontani. «Il potere ha cambiato faccia, è più liquido, sfuggente, ambiguo - chiosa Rossi -. Come si fa a fare la parodia di chi è già una parodia? La satira politica oggi ha senso solo se si trasforma in satira di costume, che ci chiama in causa tutti quanti».

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