Olè ad ogni passaggio

14mila voci cariche come Duracell

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La vita è sempre una questione di tempo. E il tempo giusto per una vittoria così non poteva che essere ieri, a qualche ora dal soffio leggero sulle centodieci candeline per il compleanno dell’Atalanta. Si invecchia tutti, purtroppo, l’importante è farlo senza smettere di credere che possa esistere un futuro migliore. Hanno scritto bene i tifosi nerazzurri venuti al Mapei Stadium di Reggio Emilia, srotolando un gigantesco lenzuolone prima del fischio d’inizio: «Da 110 anni una fantastica storia. Atalanta regalaci questa vittoria». Lo sport, e anche il calcio, è l’unico ambito delle nostre vite in cui il passato conta fino a un certo punto. Quello che hai fatto, quel che sei stato, va bene giusto per gli almanacchi, va dato in pasto ai libri, è adesso che si fa la storia.

 

 

Storica resterà la notte di ieri contro l’Apollon. Storici resteranno i gol di Ilicic, Petagna e Freuler. Storico resterà l’assist di Ilicic, assist di petto, ché nemmeno coi videogame. E nella storia resterà anche l’urlo dell’Atalanta e della sua gente, che ora guarda alla qualificazione al prossimo turno di Europa League come a un dolce domani. Ma per capire meglio l’impresa della squadra di Gasperini bisogna riavvolgere il nastro e tornare un po’ indietro nel tempo. Quando mancano ancora quattro, cinque ore al fischio d’inizio. L’autogrill vicino a Parma è il punto di ritrovo perfetto per iniziare la festa. Coca-cola, panino, c’è chi si concede un dolcetto. Birra, per i più audaci. Va tutto bene. L’importante è mettere qualcosa nello stomaco, perché poi a smaltire tra canti, balli e sciarpate che spezzano il cuore dalla bellezza si fa in un attimo. Come contro l’Everton le strade di Reggio Emilia brulicano di bergamaschi. Li riconosci perché tutti hanno qualcosa di nerazzurro addosso. Una maglietta a mezze maniche (impavidi, comincia a fare freddo), la giacca a vento, il cappellino al contrario. Una sciarpa. E li vedi da lontano, li senti urlare, discutere di moduli e di uomini. Gomez c’è, Gomez non c’è. Quella dell’Europa League per tutta Bergamo è diventata in fretta una buona abitudine, come la gita fuori porta nei giorni di riposo dal lavoro anche se è pur sempre giovedì. È una partita che riempie le attese, di settimana in settimana, e chi decide di andarci concorda l’orario e la strada migliore da fare.

E adesso eccoli lì, i quasi quattordicimila tifosi dell’Atalanta. Alla terza sfida in Europa League, dopo la trasferta di Lione. Ogni cosa qui in Emilia è diventata un poco più riconoscibile. Lo Stadium di Reggio Emilia ha persino qualcosa del focolare, le lunghe file in autostrada ormai sono un’abitudine da mettere in conto, e le addette ai biglietti sulle tribune hanno volti noti. La differenza la fa lo spettacolo. Per quello di ieri i tifosi hanno portato da casa rotoli e rotoli di carta stagnola, chilometri di alluminio luccicante, che fa un rumore, una specie di frrrruuu, un fruscio bellissimo: carta stagnola per così tanta gente non è mica uno scherzo. Un pezzo per uno, per condividere la gioia collettiva di una serata indimenticabile, un pezzo per uno da sventolare prima che la partita cominci.

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Nel parcheggio appena dietro la tribuna i tifosi hanno sistemato i fuochi d’artificio di tutti i colori. Peggio che a capodanno. I mortaretti sono azzurri neri rossi e bianchi, il rumore è davvero assordante. Il bello, però, deve ancora venire. Succede quando tirano su il bandierone con la skyline di Bergamo disegnata sopra, con il profilo di Città Alta, delle sue chiese, i suoi palazzi, le sue case. E anche se non si vede, dentro c’è tutto il profilo della gente bergamasca che tifa Atalanta. Con lo stemma della Dea, quello con il vento nei capelli, che domina tutto con la sua grande bellezza. Quelli lontani dalla curva tirano fuori i telefonini per immortalare il pezzo di show, magari da rivedere un giorno, per sedare un po’ la nostalgia. La coreografia è solo l’incipit di questo ennesimo romanzo d’avventura che è l’Atalanta in Europa League. Quando dopo una manciata di minuti (12 appena) Spinazzola scende giù sulla fascia più affilato della lama di un rasoio, e Ilicic mette in rete l’assist perfetto dell’esterno atalantino, allora sì che la vera festa può cominciare. Dalla curva arriva il boato, l’urlo è devastante, infiamma l’aria frizzante e un po’ nebbiosa, perché ormai siamo a ottobre e comincia a fare freschino anche. L’urlo è devastante, si sente fino al cielo. E allora anche quella tensione iniziale si scioglie. «Chi non salta ci-pri-ò-tà è». «Chi non salta ci-pri-ò-tà è». Uno slogan da cantare.

Il calcio, come la vita, è sempre una questione di tempo. Di attese, di pazienza. Ne hanno avuta così tanta i tifosi dell’Atalanta che adesso da questa coppa nessuno vuole andarsene più. Non lo vogliono i giocatori, non lo vogliono i dirigenti, né la società. E non lo vuole il popolo atalantino. Sulle tribune si festeggia, si alza il volume, si cerca la nota giusta per rendere la serata ancora più armonica. Il calcio è una questione di tempo, è ritmo da battere con i tamburi, gli applausi, le voci. Quando Gomez ci prova con un delizioso tiro a effetto dei suoi, o quando Petagna ne scarta tre prima di tentare una conclusione velenosa che però non trova il giusto finale. L’Atalanta in attacco è una sorta di sinfonia. I tifosi dell’Apollon (pochi e coraggiosi) provano a rispondere con qualche coro, ma il sound del Mapei Stadium è roba dell’Atalanta. Come era stato nel primo tempo, anche nella ripresa la curva dei nerazzurri continua a sventolare le bandiere, a battere sui tamburi, a fischiare, e rendere i minuti qualcosa di meraviglioso.

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Ma il calcio, come la vita, rischia di punirti al primo errore. Uno ne commette l’Atalanta, e tanto basta per ridare ai ciprioti venuti fino a qui la forza di farsi sentire. Dopo quattordici minuti del secondo tempo il gol di Schembri è come un cazzotto ben assestato: stordisce l’Atalanta. Lo stordimento dura poco. Fortuna non abbastanza per mandarla al tappeto. I tifosi non la smettono di cantare, di fomentare i ragazzi del Gasp: hanno le duracell incorporate nelle scapole. Un’energia, insomma, che dà la forza di continuare a provarci. Ci prova Gomez (traversa clamorosa, nooooooo) e poco dopo arriva il gol di Petagna, che si toglie la maglietta, corre a più non posso. Ma l’apoteosi è il gol di Freuler dopo un assist incredibile di Ilicic. Quando mancano cinque minuti è tempo di olé a ogni passaggio, il resto è già storia. Il calcio è sempre una questione di tempo, bisogna arrivare al momento giusto. E una vittoria come quella di ieri non poteva che arrivare dopo centodieci anni di storia. C’è già chi guarda un po’ più avanti, magari tra dieci anni, quando i tempi saranno maturi per un’altra coppa ancora più prestigiosa di questa. Intanto, però, la gente esce, si abbraccia, e si gode il presente in Europa League e questo successo. Consapevoli di una cosa: il domani, in fondo, non muore mai.

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