Ritorno da Barcellona

Quattro cose poco note sulla Sagrada Familia di Gaudì

Quattro cose poco note sulla Sagrada Familia di Gaudì
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Sapendo che ho passato alcuni giorni a Barcellona un amico mi ha chiesto di raccontargli quattro cose poco note sulla basilica della Sagrada Familia, l’immenso cantiere aperto nella città catalana dal genio di Antoni Gaudi tanti anni or sono e consacrato da papa Benedetto in tempi più vicini a noi.

Detto che a questo punto è difficile raccontare qualcosa che non sia già stata scritta o esposta in uno dei cento modi resi possibili dall’attuale sviluppo della tecnologia, proviamo a rispondere facendo diretto riferimento all’esperienza della visita.

La prima riguarda la luce. La Sagrada Familia ha una pianta a croce latina, con la facciata principale (non ancora compiuta, e che sarà dedicata alla Gloria di Dio) rivolta verso sud. Ciò significa che le pareti delle navate sono orientate rispettivamente verso est - col portale della Natività - e verso ovest - il portale della passione. Queste pareti ospitano immense vetrate. Di tonalità dall’azzurro al verde quelle dell’alba; dal rosso all’oro quella verso il tramonto.

Bene. Quando la luce - al mattino e al pomeriggio - entra nella chiesa attraversando la trasparenza del vetro sembra che pareti, colonne e quant’altra materia venga investita perdano per così dire di consistenza diventando quasi immateriali. Dovevamo star dentro un paio d’orette: non riuscivamo più a venir via. Mai vista una luce come quella. Non sapevamo che potesse smaterializzare il granito e le altre pietre. Ora lo sappiamo.

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La seconda riguarda la storia. Gaudì, l’architetto che ha concepito il progetto di questa meraviglia, da bambino soffriva di una grave forma di reumatismo cardiaco che gli impediva di frequentare la scuola. Sua mamma lo accompagnava allora in giro per la campagna: insieme osservavano le piante, gli insetti, gli animali, i sassi. La Sagrada Familia li ricorda tutti. I pilastri sono alberi immensi; ovunque fosse possibile far apparire un geco, una tartaruga, un cervo volante, una colomba, un ragno, una foglia, un tacchino, un agnello, Gaudì ha fatto in modo che apparisse. Se riuscite a staccarvi per qualche tempo dalla luce e a fermarvi nei pressi del portale della Natività vi sembrerà di essere stati recapitati nel giorno medesimo della creazione. Se il nostro respiro fosse capace di infondere l’anima alla pietra e al metallo ci troveremmo in un turbinio di vita da perdere la testa. Con un po’ di immaginazione ci si può riuscire ugualmente, anche perché muovendo gli occhi si continuano a incontrare presenze nascoste fino a un istante prima. C’è perfino una coccinella che apre le elitre per prendere il volo. Uno scarabeo rinoceronte. Un lombrico. Un ragno. Di tutto.

La terza meraviglia è costituita dalla capacità di Gaudi di usare le forme elementari della geometria - quelle che si imparano a scuola - per creare oggetti geometrici di enormi proporzioni che sembrerebbero, invece, nati da una fantasia sfrenata, insofferente di ogni regola. Quando ci si accorge del procedimento rigoroso che ha generato una colonna che pare un fascio di tendini, o l’angolo di due vette di pilastro che formano i rami destinati a sostenere la volta evitando di dover ricorrere ai soliti contrafforti, si rimane col fiato mozzo. Gaudi ha amato la sua campagna, ha capito come funzionano le creature, ha individuato le leggi geometriche e fisiche che ne regolano la positura e il movimento, e le ha fatte rivivere in forma di pietra o di bronzo ottenendo risultati di una strepitosa essenzialità. E siccome gli piacevano anche le pietre grezze, ne ha impiegate di tutti i tipi per non far dispetto a nessuna, non convocandola alla festa. L’audioguida e i pannelli illustrativi continuano a ripetere che, controllati con strumenti informatici, i calcoli dell’architetto sono risultati perfetti sotto ogni punto di vista. Stupendo. Stupendo come accorgersi - grazie a questi immensi fusti pietrosi - di quanto sia incredibile che un faggio o un sorgo, o un platano stiano in piedi senza venir giù. Eppure non è da oggi che li conosciamo.

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La quarta cosa che nessuno sa è che, casualmente, mentre ci trovavamo nel museo sottostante la basilica, da una porta apertasi per fare uscire un operaio si è affacciato anche un viso noto. Quello di Etsuro Sotoo, lo scultore giapponese attuale direttore dei lavori della basilica, nonché artefice delle figure di cori di bambini e di angeli nel portale della Natività, nonché dei cesti di frutta che coronano i pinnacoli. Era lì per via dell’operaio, ma noi ci siamo fermati di botto, gli abbiamo gridato - sussurrando - che sapevamo chi era, che lo ringraziavamo del magnifico lavoro che stava conducendo, e gli abbiamo anche ripetuto - senza nessuna introduzione, così, come un pezzo di sasso - una sua frase che avevamo letto da qualche parte. Diceva, quella frase, che nel tentativo di essere fedele a Gaudi, lui, figlio del Sol Levante, si era trovato in difficoltà - per non saper che fare - fino al momento in cui non aveva capito che tenìa que mirar adonde miraba el (di dover guardare là dove aveva fissato lo sguardo Gaudi). Il tutto nel giro di qualche frazione di secondo, perché non volevamo distrarlo dal suo compito: lui polveroso sull’uscio e noi a qualche metro, al di là della transenna. Magari quella frase non è neanche corretta. Però lui è stato lì a sentirsela dire con uno stupore nipponico e sorridente che ha conferito a quello scambio improvviso di sguardi il valore di un’ennesima smaterializzazione dell’ambiente.

E così ci siamo chiesti - dopo - se anche le orde di vandali, unni, mongoli e visigoti, munite di guide in carne ed ossa, obiettivi fotografici, binocoli per la visione diurna e notturna, libretti in cinese, intimo in pizzo nero (la moda dell’anno, sembra) e cappellini d’ogni risma, glutei come vagoni da trasporto merci, vene varicose e nike fluorescenti, se qualcuno almeno - intendiamo dire - di costoro, si siano fatti per un attimo quella stessa domanda: su Chi avesse tenuto fisso lo sguardo il responsabile di quella cosa che tutti stavamo osservando. E ci siamo risposti che forse non era neanche questo quel che contava. L’importante era - è - che ci fosse - che ci sia - Qualcuno che guardi loro - e magari anche noi - per farne i protagonisti della Sagrada Familia 2.0, dedicata allo splendore dell’umanità smarrita e stupita.

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