San Pietro al Monte, a Civate un gioiello del Romanico
L’abbazia di San Pietro al Monte, a Civate (provincia di Lecco), è un piccolo gioiello di arte romanica che sorge a mezza costa sul monte Cornizzolo. A 662 m di altezza sul livello del mare, la si può raggiungere soltanto a piedi, seguendo una mulattiera che s’inerpica lungo il dorso della montagna – la cui cima raggiunge i 1241 metri. Il sentiero si snoda sotto l’intreccio fitto del bosco e si dirada quel tanto che basta per lasciare spazio al complesso monastico, al cui interno si trova anche un oratorio, dedicato a San Benedetto. L’abbazia è curata da un gruppo di volontari, i quali fanno parte dell’associazione "Amici di San Pietro". Fondata nel 1975, è presieduta da don Vincenzo Gatti, membro della Comunità del Beato Angelico. Ogni fine settimana i volontari si rendono disponibili per visite guidate all’interno del complesso. Quello appena trascorso è stato un weekend particolare, perché sono state celebrate le giornate europee del Patrimonio 2014. In occasione dell’evento, l’abbazia è rimasta aperta dalle 10,00 fino alla mezzanotte di sabato.
Un po’ di storia. Racconta la leggenda che l’abbazia di San Pietro al Monte venne edificata in seguito a un incidente di caccia occorso a un principe longobardo, Adelchi, figlio del re Desiderio. La corte reale si era recata a Civate per godere della pace e della tranquillità del piccolo borgo, allora ricco di messi e vigneti. Il giovane principe era uscito a caccia nei fitti boschi del monte, che allora erano popolati da cervi, cinghiali e orsi. Per lungo tempo vagò senza trovare alcuna traccia e quando ormai stava incominciando a darsi per vinto, scorse da lontano un enorme cinghiale. Adelchi si diede ad inseguire l’animale, fino al piccolo oratorio che un eremita, Duro, stava costruendo da sé in onore dell’apostolo Pietro. Il cinghiale andò a rifugiarsi tremante presso l’altare, ma Adelchi, incurante delle preghiere del religioso che tentava di dissuaderlo dai suoi propositi, entrò nel luogo sacro brandito di lancia, pronto a trafiggere l’animale. Accadde però qualcosa che non si sarebbe aspettato: una luce accecante lo colpì in pieno volto, privandolo della vista. Il principe gridò allora che avrebbe concesso al santuario ricchi tesori, persino le reliquie del santo, se gli fosse stata restituito l’uso degli occhi. La sua preghiera venne ascoltata e il principe tenne fede alle sue promesse: elargì doni e aiuti al povero eremita e innalzò l’abbazia di San Pietro al Monte. Nella sua lunga storia, il monastero ospitò (forse) Paolo Diacono, e sicuramente il monaco Ildemaro, sceso in Italia con l'imperatore Lotario e ospitato dall’arcivescovo di Milano Angilberto II proprio nell’abbazia civatese. Qui pare che abbia riorganizzato la regola benedettina. Il monastero aveva anche un piccolo scriptorium: due dei codici qui esemplati sono attualmente conservati a Berlino, alla Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz.
Gli abati di San Pietro al Monte intrecciarono poi un legame di amicizia con l’imperatore Federico I e si schierarono al suo fianco nella lotta contro i comuni. Favorito dagli arcivescovi di Milano, il destino del piccolo centro di culto sarebbe stato tuttavia votato al declino. A causa dell’assenza di un numero sufficiente di monaci, San Pietro al Monte passò infatti sotto la sovrintendenza di Como, nel XV secolo, e poi di Cremona. Papa Gregorio XIV cercò di dare ordine alla situazione del monastero e strinse un accordo con i monaci Olivetani, che inviarono sei loro membri per gestire l’abbazia, ma nel 1798, dopo la Rivoluzione Francese, anche gli ultimi monaci vennero mandati via e l’abbazia fu ceduta al municipio, che a sua volta le diede alla parrocchia, a cui appartiene tutt’ora.
Il complesso monastico. Oltre alla basilica di San Pietro e all'oratorio intitolato a San Benedetto, il complesso comprende anche le rovine di quello che era il monastero vero e proprio. Si accede tramite un portale di pietra, che reca inciso il motto Ora et labora. L’abbazia possiede due absidi, di cui quello più antico, ad est, è occupato dal nartece. All’ingresso della basilica, proprio sopra la porta d’ingresso, si può osservare Cristo che consegna a Pietro e Paolo le chiavi e le leggi (Traditio Legis et Clavis). All’interno, si ammira invece un ciclo di affreschi, ancora ben conservati, ispirati all’ Apoteosi finale del Cristo e il Trionfo dei Giusti, come sono descritti nell'Apocalisse di San Giovanni. Sulla parete opposta al ciborio è stata raffigurata la scena descritta all’inizio del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse: “la donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi", ha appena partorito un figlio maschio che subito viene portato verso il trono di Dio, posto al centro della scena, in modo che egli non sia divorato dal drago, trafitto dall’arcangelo Michele e dai suoi angeli. Il ciborio, che sovrasta l’altare, è molto simile a quello della basilica di Sant’Ambrogio di Milano. Decorato in stucco, riporta scene della Crocifissione, delle Marie al sepolcro, dell'Ascensione e della Traditio Legis et Clavis. Da vedere è anche la bellissima cripta, il cui apparato iconografico rende omaggio alla Madonna. Notevoli sono le scene, realizzate in stucco, della presentazione della Presentazione di Gesù al tempio, la Crocefissione e la Dormitio Virginis.
Qualche ombra. Il 5 ottobre si celebrerà presso il rifugio Maria Consigliere (qualche metro e qualche tornante sopra l’abbazia di San Pietro) il Cornizzolo Day, che il comune di Civate ha istituito nel 2001, insieme ad altri sei piccoli comuni (Canzo, Cesana Brianza, Eupilio, Pusiano, Suello e Valmadrera), per opporsi alle richieste avanzate da Holcim, cementificio svizzero. La multinazionale chiedeva che le venisse concesso il diritto di aprire una cava proprio sul monte Cornizzolo, non lontano da dove sorge l’abbazia. Benché la Holcim, che è presente nelle provincie di Bergamo, Brescia e Lecco, avesse assicurato (e continui a farlo) che prenderebbe le misure necessarie per proteggere il luogo di culto, sono in molti, a Civate e non solo, a dubitarne. Anche quest’anno, dunque, la popolazione si riunirà per ribadire il proprio no alla cava e, soprattutto, per festeggiare il proprio patrimonio artistico e culturale. Che è poi anche eredità comune e simbolo di un’identità da custodire.