Storia del Cristo dell’Amiata

Quel San Francesco sconosciuto raccontato da Cristicchi a teatro

Quel San Francesco sconosciuto raccontato da Cristicchi a teatro
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«La storia di David Lazzaretti ci insegna che tutti abbiamo un destino, un sogno in cui credere. E, costi quel che costi, bisogna seguirlo fino in fondo». Anche Simone Cristicchi aveva un sogno: raccontare. Già lo faceva come cantautore, e bene. Nel 2007 ha vinto Sanremo con Ti regalerò una rosa, canzone delicatissima su una lettera d’amore del paziente di un manicomio. Ma lo spazio di una canzone non gli bastava. È passato al teatro di narrazione. Con risultati egregi. Stasera, sabato 4 febbraio, porta al Creberg Il secondo figlio di Dio, «celebrazione di un uomo straordinario e controverso – annota - la cui storia avvince e fa riflettere». Lazzaretti, appunto, oggi soprannominato il «Cristo dell’Amiata». «Un personaggio unico – va avanti Cristicchi – in cui convivono un forte materialismo e una spiritualità molto accentuata. Un uomo a metà tra la terra e il cielo, una sorta di San Francesco sconosciuto al di fuori dall’area dell’Amiata. La sua idea di comunità si rifaceva alla prima cristianità, quando si metteva tutto in comune. Ha riconosciuto alle donne la stessa dignità dell’uomo attraverso il diritto di voto con un secolo di anticipo. Uguaglianza sociale, fratellanza universale e proclamazione di un solo culto per tutti gli uomini fanno di lui un grande visionario». La storia l’ha conosciuta lavorando allo spettacolo sui minatori dell’Amiata. «Ci sono anche un museo e un centro studi ad Arcidosso: Lazzaretti, dagli anni ’70 in poi, è stato nettamente rivalutato».

Ora Cristicchi è in ballo con un’altro spettacolo, Orcolat, che parla del terremoto del Friuli. «Un lavoro che ha già avuto una rappresentazione nel duomo di Gemona il 15 settembre. Un’orazione civile, più che uno spettacolo teatrale, per una storia oggi resa più attuale dai fatti di cronaca. E un modello, perché il Friuli si è risollevato in maniera esemplare».

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Chi era. Lazzaretti nacque ad Arcidosso, provincia di Grosseto, nel 1834. Figlio di un barrocciaio, secondogenito di cinque fratelli, affrontò la prima parte della sua vita confuso da visioni enigmatiche relative al suo futuro. Fu proprio uno di questi strani sogni a suggerirgli di recarsi a Roma per incontrare il papa, possibilità che però gli venne negata. Frustrato dal mancato colloquio col pontefice, si convertì a una vita di penitenza e solitudine, effettuando numerosi ritiri spirituali, tra cui quello sull’Isola di Montecristo. Qui fondò diversi istituti di impronta monastica e sociale - come La Santa Lega e Fratellanza Cristiana - scatenando dure reazioni che sfociarono in poco tempo nell’arresto per frode. Prosciolto dopo alcuni mesi, il profeta di Arcidosso fece ritorno alla propria terra d’origine, dove radicalizzò ulteriormente il proprio pensiero, fino a fondare la Società delle Famiglie Cristiane, esperimento collettivistico che gli procurò una nuova condanna per vagabondaggio e cospirazione politica. Provato dalle continue accuse a suo carico, nel 1875 si trasferì con tutta la famiglia in Francia, ospite del magistrato francese Leone du Vachat. Nel 1877 sottopose al vaglio del Vaticano le sue «Regole dell’Ordine Crocifero dello Spirito Santo», ricevendo l’ennesimo rifiuto e venendo persino giudicato eretico dalla Commissione del Sant’Uffizio, che agli inizi del 1878 mise all’indice ogni suo scritto. Nel luglio dello stesso anno apparve nuovamente tra la gente di Monte Labbro, acclamato da una folla oceanica. Il 18 agosto, con i fedeli seguaci alle spalle, il Cristo dell’Amiata dette vita a un’imponente processione verso i santuari di Arcidosso e Casteldipiano, mete che non fu in grado di raggiungere. La cerimonia venne interrotta bruscamente dagli uomini della forza pubblica, che spararono indistintamente sulla folla colpendo a morte quattro persone. Tra cui lui.

Da cantante a novello Marco Paolini. Ha sempre cercato di trattare tematiche socialmente impegnate. Però la forma canzone ha i suoi limiti. «Ingabbiare una storia in 4 minuti non mi bastava più. E poi avevo voglia di misurarmi da solo, sul palco, senza una band, come avevo visto fare magistralmente a Proietti e Paolini». Così Cristicchi ci motiva il suo passaggio dalla musica al teatro di narrazione. Il suo primo monologo risale al 2010, («Li Romani in Russia», che racconta la guerra attraverso la voce di chi l’ha vissuta in prima persona) «e ha avuto subito un ottimo riscontro sul pubblico nonostante la mia inesperienza». È un’autodidatta. Mai frequentato corsi di recitazione. Però ha avuto tutor d’eccellenza come Alessandro Benvenuti e Antonio Calenda, che cura la regia dello spettacolo in scena al Creberg. «Ora però vorrei cimentarmi con uno spettacolo più leggero di quanto fatto finora. Raffinato, elegante ma che sappia far ridere. Anche perché non amo gli artisti che si ripetono: ho sempre cercato di stupire il pubblico».  Cerca la leggerezza perché siamo in un momento «che assomiglia a una traversata del deserto: sono crollate molto certezze, in questi anni. All’orizzonte c’è un nulla. Che però può rappresentare anche una grande occasione. Sono ottimista».

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