Stasera, venerdì 4 novembre

Da Un medico in famiglia a Dario Fo Il versatile Ugo Dighero si racconta

Da Un medico in famiglia a Dario Fo Il versatile Ugo Dighero si racconta
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«Ci si sente addosso una grande responsabilità. I comici dell’arte tramandavano le narrazioni orali di padre in figlio. In un certo modo, fatte le dovute proporzioni, mi sento un po’ così: porto avanti una narrazione che attinge sapientemente a quel bacino». Parola di Ugo Dighero, attore teatrale e televisivo con un curriculum infinito, che venerdì 4 novembre a Ranica (auditorium comunale, ore 21, ingresso 10 euro), apre il Palco dei Colli, rassegna teatrale itinerante giunta alla sesta edizione, con un omaggio a Dario Fo, proponendo il suo Mistero Buffo nella produzione di Teatro dell'Archivolto.

 

 

Dighero, attore eclettico e completo, cofondatore nel 1989 dei Broncoviz con Maurizio Crozza (sue compagno alle elementari) e Giulio Pittaluga di «Un medico in famiglia», si cimenta con le affabulazioni del Premio Nobel da 35 anni. «Vidi “Mistero Buffo” alla televisione - racconta - intorno ai vent’anni, quando incominciavo a fare la scuola al Teatro Stabile di Genova, e mi tirai direttamente giù il testo dalla videocassetta».
Un colpo di fulmine giovanile, cioè. Due i pezzi che compongono lo spettacolo: Il primo miracolo di Gesù bambino e La parpàja topola, molto diversi tra loro. Il primo, tratto dai vangeli apocrifi, dà una chiave di lettura che consente di empatizzare con le figure sacre e di far sentire il loro lato umano. Il secondo, tratto da un fabliau medievale, è la metafora di un idiota in stile Forrest Gump che con la sua purezza spiazza chi si comporta in maniera diversa. Si tratta di pezzi da virtuosi della recitazione, di affabulazione pura, «in cui chi racconta - spiega Dighero - interpreta anche tutti i protagonisti che dialogano tra loro. Bisogna entrare e uscire velocemente da tutti i personaggi, a volte tre o quattro in scena. Una volta che si riesce a gestire tutto questo è come sedersi al volante di una Ferrari che bisogna saper guidare, ma va che è una meraviglia». Nel motore tutti i cavalli al galoppo di brani scritti sapientemente, «con dei tempi comici favolosi. Brani, soprattutto, mai datati, con valori fondamentali che li sorreggono. La stessa cosa che accade con i grandi classici di Shakespeare e Molière».

L’amore per il teatro non ha mai accusato momenti bui, in Dighero: «Rimane per un attore una scuola insostituibile, non c’è nulla che faccia crescere e formi altrettanto. Si è senza rete, è la cosa più difficile, ma più gratificante». Si rammarica però di aver avuto decisamente poche occasioni cinematografiche «perché mi piacerebbe approfondire quel tipo di esperienza». In televisione ha lavorato molto, soprattutto nelle fiction: «Riesce a raccontare storie che al cinema non potrebbero andare - confessa - ma qualche volta per seguire gli ascolti si abbassa la qualità. Quindi è un’arma a doppio taglio, con degli aspetti che ha ben fotografato la serie satirica Boris. Lo “spiegone” per far seguire il filo della trama non è una soluzione stilisticamente piacevole, ma ci vuole».

 

 

Degli anni dei Broncoviz gli manca quell’energia, quel gusto per le iperboli (fantastico nel ruolo della nonna hitchcockiana per la parodia dello spot della cadeggina Ace, deformata in Aiace). «Oggi - lamenta - sembra non ci sia spazio per quel tipo di televisione, per quella satira sociale varia, per quel lavoro di gruppo. Mauri (Crozza, ndr) è un talento incredibile, strabordante, e il suo programma è stupendo. Ma monografico». Della sua lunga carriera ricorda con piacere l’interpretazione di Don Pino Puglisi: «Girare nei luoghi in cui ha vissuto e operato è stato molto interessante e coinvolgente. Ha lasciato un segno importante nel quartiere Brancaccio e ci sono persone straordinarie che portano avanti la sua opera».

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