Dovrà vedersela con tutti i "big"

Al via la Vuelta, occhio ad Aru

Al via la Vuelta, occhio ad Aru
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Se non fosse che Nibali è Nibali e di lui ormai abbiamo imparato a fidarci, diremmo che questi ciclisti della nuova Belle Époque tutta italiana se la cantano e se la suonano tra loro, come gli va. Per esempio di Aru una volta Vincenzo ha detto: «Questo in cinque anni vince il Giro d’Italia, credete a me». E crediamogli, allora, speriamo azzecchi davvero il pronostico, perché Fabio Aru è un altro di quei campioni genuini che ci piacciono tanto. Per vincere un giro c’è tutto il tempo del mondo. Intanto, il 23 agosto comincia la Vuelta, corsa su cui Aru ha messo gli occhi grandi, color nocciola, e quella bocca più da vipera che da squalo nibalesco. Lui, ovvio, abbassa il tiro e le pretese dei giornalisti con la scusa della gioventù da non bruciare, se non per tappe. «La faccio per imparare ancora un po’, non si impara mai abbastanza». Certo, e poi gli esami non finiscono mai e io so di non sapere. Ma dopo quello che abbiamo visto al Giro d’Italia, quando Aru è partito nella tappa di Montecampione arrivando da solo al traguardo, sappiamo bene che questo ragazzo sardo di nascita, bergamasco d’adozione (vive a Ponte San Pietro) ha i numeri per portarsi via un altro po’ di applausi.

Poi la maglia roja è sempre dura da prendere. Anche perché, eccetto Nibali che è andato in Kazakistan, alla Vuelta ci sono (quasi) tutti i big. Il primo è Quintana. Ha vinto il Giro d’Italia, e sta bene. Il colombiano punta a portarsi a casa due grandi giri in un anno: negli ultimi venti ci sono riusciti soltanto Pantani (Giro e Tour del ‘98) e Contador (Giro e Vuelta 2008). Ci sono i grandi delusi del Tour de France, Froome e Contador, appunto, ritiratisi tutti e due dopo poche tappe della Grande Boucle. Ma è tra queste pieghe di taffetà (un tessuto pregiato) che Aru può infilarsi, almeno per provare a vincere una o due tappe. E’ la prima volta che corre due grandi giri nella stessa stagione. Bisognerà capire i tempi di reazione, la condizione, se la gamba gira. Si parte da Jerez de la Frontera e lo scalatore sardo, comunque vada, fino alla fine sarà il leader dell’Astana. Se l’è guadagnato con l’exploit al Giro d’Italia dove, alla fine, è arrivato terzo. Dopo il Giro di Polonia, per prepararsi meglio, ha rinunciato alle vacanze e ha fatto la preparazione al Sestriere. Troppo facile il motivo: «Non conta quello che ho fatto: è passato. A me interessa soltanto il futuro».

Non abbiamo ancora codificato completamente l’idea di avere un campione come Nibali, che già siamo pronti a esaltarne un altro più giovane. Aru è però un’altra sfumatura di felicità rispetto al siciliano. Se Vincenzo è rigoroso, composto, accigliato in certi momenti della corsa, Fabio è una smorfia di apparente fatica, che ancor di più esalta l’impresa. Fino a quindici anni ha giocato a calcio, un po’ di tennis, ma sai com’è: lì ci vogliono doti che solo dio lo sa. Poi un giorno è salito in bicicletta, sopportava la fatica e di correre non ha smesso più. Ha provato anche la mountain bike, ma la strada aveva tutto un altro fascino. Quando hanno capito il suo valore, ci è voluto un attimo per portarlo via dalla Sardegna, dalla sua Villacidro, e piantarlo in un posto con tante salite a due passi da casa, per fare gli allenamenti. Gli è capitata Bergamo, dove si è fatto un bel giro di amici. «Non è stato facile all’inizio perché andare via di casa è sempre dura. Al secondo anno da under avevo pensato di smettere, ho avuto dei momenti difficili. Poi sono arrivati i risultati e crescendo sono riuscito a continuare». Gli amici lo accompagnano a Orio tutte le volte che deve prendere l’aereo per andare a correre chissà dove. «Siamo un bel gruppo», assicura Aru.

È questa giovialità che lo contraddistingue dagli altri giovani virgulti. Inselvini, che adesso è il suo massaggiatore di fiducia, lo descrive come un ragazzo educato, «di quelli che in giro non si vedono più». Addirittura, prima di un massaggio, si prende la briga di avvisare: «Dovrò ricevere una telefonata, ti dispiace?». Fabio adora stare al computer, ascoltare musica. Se proprio gli scoccia fare una cosa, quella è dover sacrificare il cibo. «Però è la vita da atleta», che si può fare? Si è definito un cocciuto, e buon sangue (sardo) non mente. Ma di lui ha detto di essere uno aperto al mondo, perché con il lavoro che fa lo ha girato, e la vita fuori casa ti arricchisce sempre. Umile, al punto che il giorno di Montecampione è andato subito da Inselvini a dirgli: «Oh, guarda che non è cambiato niente». Che non è vero, qualcosa cambia sempre quando vinci e sulle salite la gente grida il tuo nome e di andare più forte, che sei un fenomeno. E, infatti, adesso l’Italia si aspetta che Fabio torni a essere quello dell’ultimo Giro d’Italia, con la bocca aperta, quasi a voler risucchiare tutta l’aria sulle montagne. Che torni a essere straordinario. Anzi, straordinAru.

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