"The Walk", l'impresa del funambolo che camminò tra le Torri Gemelle
Non è un film su uno sbruffone che sfida la morte. Non è per quello che il funambolo Philippe Petit ha teso una fune tra le cime delle Torri Gemelle del World Trade Center, a New York, nell'agosto del '74, e vi ha camminato avanti e indietro svariate volte.
Un omaggio ad un’impresa di rara meraviglia. The Walk, ora nei cinema, parte proprio da questa idea al contrario («La gente mi chiede: "Perché rischi la morte?"; per me questa è la vita») e per due ore ci parla non del probabile tragico epilogo che questa vicenda avrebbe potuto avere, bensì di vita, passione, amore, stupore, bellezza. Di tutte quelle cose, insomma, che portarono l’artista francese e il suo sgangherato gruppo di supporto, compresa l'allora compagna Annie, a tentare un'impresa tanto velleitaria quanto eroica e meravigliosa: passeggiare su un filo a oltre 400 metri d'altezza. Un capolavoro di coraggio e grazia cui già, peraltro, è stato reso omaggio con il documentario Man on wire, premiato con l’Oscar.
Dietro e davanti alla macchina da presa. Ora, se c'è un regista in grado di mettere in campo tutti gli spettacolari effetti speciali che questa storia richiedeva, avvolgendoli intorno a una storia umana, nitida e potente, quello è proprio Robert Zemeckis, in questi giorni in auge più che mai anche per la concomitante ricorrenza del trentennale della sua trilogia iconica per eccellenza, quella di Ritorno al futuro. Il regista di Chi ha incastrato Roger Rabbit? (1988), Forrest Gump (1994), Cast Away (2000) e anche del bel Flight (2012) si cimenta in una prova ben riuscita, lasciando sospesa l’aura di nostalgica mancanza legata alle Torri Gemelle, location cuore del film, e raccontando una storia sull’ineluttabilità del destino e la forza della sua chiamata.
Saggia anche la scelta di un attore con un perfetto physique du rôle: lo statunitense Joseph Gordon-Levitt, asciutto al punto giusto e capace di sfoderare, in diversi momenti del film, un francese notevole. Ad affiancarlo, volti emergenti e azzeccati per il suo team (tra gli altri, un matematico che soffre di vertigini, la compagna chansonnière, un fotografo e due fricchettoni incontrati lì a New York), oltre a Ben Kingsley, che, coi suoi tratti esotici, ben si presta a dar vita a Papa Rudy, il capoclan di una compagnia circense che gli insegna i trucchi del mestiere.
(AP Photo/Alan Welner)
La vita, il caso, la passione. Dopo un excursus sull'infanzia di Petit e sulla sua passione per il circo, che lo allontanò dalla famiglia e lo spinse a cercare fortuna a Parigi come artista di strada, ecco comparire nel suo destino l'idea delle Torri Gemelle. Un’intuizione casuale, partita da un giornale nella sala d'aspetto dal dentista. Quella del caso spesso non fortunato tramutato in occasione è una dinamica che torna spesso nella storia di Petit: è una determinazione animata dalla passione per ciò che lo fa sentire vivo, capace di trasforma gli inciampi, i ritardi e gli incontri sbagliati in rincorse verso l’alto, accelerate verso la realizzazione dei desideri. Nella pellicola si guarda crescere questa laboriosa e bruciante voglia di, mentre si segue il protagonista nella preparazione dell’impresa: nuove amicizie, contatti nascosti, decine di fotografie, sopralluoghi illegali al World Trade Center. Un climax di attesa in cui l’obiettivo è lì, inevitabile perché sognato e cercato. Fino alle ultime emozionanti scene. A quei piedi sul filo.