Ardesio

Scasada del Zenerù per pochi: ci sarà il falò ma senza gente

Gli abitanti possono cacciare il mese di gennaio suonando i tipici campanacci (o anche le pentole) dai loro balconi

Scasada del Zenerù per pochi: ci sarà il falò ma senza gente
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Il suono di campanacci, corni, bidoni, padelle e catene risveglia l’erba sotto la neve. Coriandoli di fuoco punteggiano il buio. Le fiamme avvolgono streghe e fantocci, emblemi del “vecchio” da scacciare. Riti ancestrali di fine gennaio che sopravvivono tutt’oggi e raccontano paure e speranze del mondo agricolo che fu. In provincia il più noto è ad Ardesio, dove la “Scasada del Zenerù” (cacciata di gennaio), rigorosamente il 31, non ha subito flessioni. Anzi, negli ultimi anni ha acquisito nuovo vigore grazie anche all’interesse della Rai, che ha gonfiato d’orgoglio – e di creatività fattiva – il petto degli organizzatori.

Quest’anno di roba da scacciare ce ne sarebbe eccome. A cominciare dal virus. Ma non sarà possibile farlo alla presenza del pubblico. «Quest’anno, il 31 gennaio, Ardesio non potrà essere invasa da migliaia di persone con i campanacci, pronte a scacciare l’inverno con la tradizionale Scasada del Zenerù. La Pro loco di Ardesio e il Comitato organizzatore hanno però voluto fortemente portare avanti la tradizione. Il fantoccio verrà bruciato. Ci sarà il falò del Zenerù, ma senza gente», ha spiegato Gabriele Delbono, presidente della Pro loco. Quindi niente corteo per le vie del paese. Solo il momento finale. E anche questo per pochi, con il piazzale presidiato dalle forze dell’ordine. Se però qualcuno, domenica sera, all’imbrunire, vuole uscire sui balconi con campanacci, pentole o qualsiasi cosa faccia rumore, è benvenuto. Meglio ancora se fa un video e lo invia a info@prolocoardesio.it, o alla pagina Facebook della Pro Loco.

«La cacciata di gennaio si pratica ancora in molti luoghi – spiega l’etnomusicologo Giovanni Mocchi, curatore del libro “Campanacci, Fantocci e Falò. Riti agro-pastorali di risveglio della Natura” - ma spesso è un’usanza senza velleità turistiche, riservata ai membri della comunità, all’insegna di un radicato campanilismo. Come tutte le tradizioni di origine celtica, è scandita sui ritmi delle stagioni e degli astri: si colloca al crepuscolo antecedente il giorno in cui si realizzava una significativa svolta astronomica in direzione della primavera».

I riti del 31 gennaio, che hanno un corrispettivo nella Giobiana brianzola, l’ultimo giovedì del mese, si distribuiscono a raggiera in una quindicina di località, dalla Svizzera italiana nelle aree di Locarno e Lugano fino alla Valseriana e Valcamonica, con una direttiva privilegiata che dal ramo del lago di Lecco risale il corso dell’Adda fino a Tirano e Bormio. Nella Bergamasca sono tutt’ora diffusi in Val Taleggio, oltre che nell’Alta Val Seriana, che si è data anche all’export: da Fiumenero di Valbondione il rito migrato a Camparada, in Brianza. La tradizione è viva, anche se non istituzionalizzata, a Cusio e Santa Brigida. Il «gennaio da bruciare» a mo’ di pupazzo è un elemento caratterizzante delle varie aree. In provincia originariamente l’unico elemento era la scampanata roboante per il paese e per i prati limitrofi.

«Il cambiamento è avvenuto grazie alla Rai negli Anni ’60 – chiarisce Mocchi – perché un cameraman chiese in cosa consisteva concretamente questo Zenerù. Un architetto di Ardesio, ricordato ora come figura quasi mitica, si improvvisò fantoccio vestendo un tabarro, per rendere l’idea». La modalità di presentazione del Zenerù – a cavallo di un drago, su una locomotiva, in bici, in bob – è infatti ora elemento qualificante della Scasada. Del resto «le tradizioni, perché restino vive, devono rinnovarsi», chiosa Mocchi.

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