Lo spettacolo

Prima nazionale al Donizetti: "Iliade. Il gioco degli dèi" attualizza il poema omerico

La guerra vista nella sua drammaticità, ma non mancano momenti di ironia. I vizi dell'Olimpo, le debolezze degli uomini e uno stile che convince

Prima nazionale al Donizetti: "Iliade. Il gioco degli dèi" attualizza il poema omerico
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Di Mattia Cortese

Un gioco crudele, quello della guerra. Gli dèi fanno la loro mossa su quella scacchiera che è il mondo, le pedine gli uomini tra gioie e sofferenze, vittorie e sconfitte. La prima nazionale di Iliade. Il gioco degli dèi ieri sera al Donizetti (in replica fino a lunedì 18 dicembre) non ha deluso le aspettative, acclamato dal pubblico: coinvolto, ha apprezzato le scelte della regia, il Quadrivio formato da Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Francesco Niccolini e Marcello Prayer. Il poema è attualizzato con scelte originali: cornice moderna, quella delle divinità greche, che ricordano il conflitto, in cui gli eroi sono marionette comandate dall'Olimpo. Uno sdoppiamento, gli umani riflesso degli dèi, gli altri delle virtù e dei vizi mortali.

Zeus (Alessio Boni) si mostra iracondo e autoritario (sebbene un po' volutamente buffo). Il suo corrispettivo, Achille, preda della sua stessa furia. Era (Iaia Forte), rassegnata da trentamila anni di convivenza col fedifrago compagno, ha imparato ad assecondarne le debolezze per manipolarlo, senza nascondere insofferenza per i suoi atteggiamenti (divertenti gli studiati siparietti, a metà spettacolo è partita un'acclamazione).

Ares (Francesco Meoni, anche Paride, Agamennone e Sarpedonte) è coccolato dalla madre Era e vittima di numerosi tic e nevrosi, simbolo della guerra in cerca di giustificazioni e della sua deriva irrazionale, come il capriccio dell'Atrìde che mette a repentaglio le sorti dello scontro. A completare il quadro, Atena (Elena Nico, pure nei panni di una tormentata Elena) ed Hermes (Haroun Fall, che interpreta inoltre un Patroclo pieno di pathos) rockettari, Apollo poeta (Marcello Prayer, anche come Ettore guerriero disperato e un devastato Priamo), un'Afrodite dagli eleganti abiti orientali (Jun Ishikawa, pure Calcante), molto espressiva nelle parole e nei gesti, e una Teti in apprensione per il figlio (Elena Vanni, anche Andromaca).

La drammaticità delle scene più intense si manifesta in modo evidente. Interessante l'utilizzo delle maschere, per nulla scontato il trucco con cui si rende la doppiezza di Paride. Un'eclissi apocalittica dalla corona di sangue, che illumina con la sua luce spettrale la terra, tinta di quello vero dei caduti. Eppure, queste divinità non sono più come una volta: il problema, come per chi governa, è che nessuno crede più in loro. Trascinati dal destino, possono solo decidere come far accadere gli eventi. Pensavano di condurre la guerra, ma si trovano in una spirale da cui è impossibile fuggire. Ma allora, chi è veramente libero?