«Con noi la gente vuole evadere: ora più che mai ci sentiamo responsabilizzati a fare i buffoni»
Domani gli Oblivion portano in scena il loro spassoso "Rhapsody”. Miscelano canzoni con intento comico: tra le loro chicche c’è il “Queen vs Morandi”, con i testi del Gianni nazionale cantanti sulle melodie della band inglese
Di Fabio Cuminetti
Nudi e crudi, saltimbanchi. «Saremo come non ci avete mai visto prima. Abbiamo tolto l’unica cosa bella dei nostri spettacoli precedenti, cioè le basi musicali, suonate da veri musicisti in studio. Ora, dopo avervi dimostrato che recitiamo male e cantiamo peggio, abbiamo deciso di mostrarvi quanto suoniamo male» scherza Fabio Vagnarelli, un gusto innato per la battuta. Perché, che lui e i “suoi” Oblivion siano oltremodo bravi a cantare e recitare, è un dato assodato. A suonare, a parte il maestro Lorenzo Scuda che la chitarra l’ha studiata davvero, forse meno, ma il gusto giocoso di vedere impugnare gli strumenti più disparati e farne un uso unplugged più che dignitoso non ha prezzo, a parte quello di ingresso.
La grande novità di “Oblivion Rhapsody”, sabato 19 febbraio alle 21 al Creberg Teatro, è proprio questa: l’assenza di basi. Tutto suonato dal vivo dai magici cinque, tra washboard composte da carcasse di armoniche a bocca (con tanto di campanello da hotel), minisax, pistole giocattolo, campanacci. Come amano dire «dopo aver massacrato il repertorio di altri, in questo spettacolo ci divertiamo a massacrare il nostro». Una sorta di summa di dieci anni di tournée, in sostanza. Per chi non li conoscesse, si dice di loro che sono i cinque sensi della satira musicale (oltre a Vagnarelli e Scuda fanno parte del gruppo Graziana Borciani, Davide Calabrese e Francesca Folloni), che sono uno Spotify vivente, che sono i cinque gradi di separazione fra i Queen e Gianni Morandi. In una giostra dal ritmo scatenato, i cinque artisti riproducono le loro performance più amate. Mostri sacri della letteratura quali Dante, Manzoni, Shakespeare vengono parodizzati, strizzati in pochi minuti e raccontati sulle note di grandi successi italiani; da Mina a Baglioni a Tiziano Ferro.
«La storia dello spettacolo – racconta Vagnarelli - è stata abbastanza travagliata: l'abbiamo scritto per cominciare a novembre 2020, poi durante le prove è arrivato il decreto di sospensione dell'attività teatrale, quindi abbiamo debuttato a luglio del 2021». Non c'è un pezzo che inizia e finisce: è un inno al nonsense più spassoso. «Ci siamo divertiti a tornare al nostro primo amore, l'idea alla Monty Phyton di non finire propriamente uno sketch: iniziamo un discorso e lo cambiamo subito».
L'idea di suonare? «Be’, visto che avevamo del tempo libero… Tranne il maestro Scuda, comunque, siamo dei cioccapiatti con strumenti improbabili: c'è chi ha comprato un flauto di plastica a Venice Beach, Los Angeles, e anche quello ha trovato paternità nello spettacolo». Si divertono anche molto con Sanremo, i cinque, tant’è che in Youtube spopola un loro potpourri della canzoni che hanno vinto le varia edizioni del festival. «Ci dà sempre grande soddisfazione: abbiamo materiale per andare avanti per un po' e ci fa capire che direzione sta prendendo la canzone italiana. Siamo molto contenti di questi flussi di parole molto densi, più o meno sensati, che vanno di moda adesso: noi che abbiamo sempre usato centinaia e centinaia di parole velocissime ci sentiamo perfettamente a nostro agio. Questa vomitata di parole, in sostanza, fa sì che la gente arrivi anche più allenata ai nostri spettacoli. In cui noi tra l’altro ci mettiamo anche un po' più di senso degli originali», scherza Vagnarelli.
Il ritorno a teatro dopo le chiusure? «Con noi la gente vuole evadere, e in questo modo noi ci sentiamo ancora più responsabilizzati che in passato a fare i coglioni più del solito. Questo spettacolo va esattamente in quella direzione».