“Il Piccolo Principe” arriva alla ChorusLife Arena sulle note di Bowie, Battiato e Maneskin
Lo show firmato Razmataz Live è in programma l’8 e 9 febbraio. Il regista: «Usiamo tutti i linguaggi teatrali: dalla prosa alla canzone, fino alla magia del circo e delle acrobazie»

Di Fabio Cuminetti
Parte la prima stagione di spettacoli di ChorusLife Arena. Attesissima, per capire come il nuovo spazio si adatterà agli allestimenti che venivano ospitati dal Creberg. Il primo appuntamento, l’8 febbraio alle 21 e il 9 alle 16, è con “Il piccolo principe”, show firmato Razmataz Live. Una proposta che traduce in molteplice esperienza di scena uno dei libri più amati di ogni tempo. Ne abbiamo parlato con il regista, Stefano Genovese.
È il terzo anno di tournée per “Il Piccolo Principe”. Si aspettava tutto questo successo?
«Be’, per ogni spettacolo uno si aspetta una certa risposta. Un po’ mi ha sorpreso, anche se confidavo molto nel titolo e nel testo, che è comunque molto amato. Inflazionato, anche. Non ci sono mai state grandi produzioni come questa, però: siamo stati un po’ i primi a tentare un’impresa di questo tipo. La scelta ha premiato».
C’è stata qualche modifica sostanziale rispetto alla partenza, o l'impianto dello spettacolo è più o meno lo stesso?
«No, nessun cambiamento di rilievo. Lo spettacolo è nato con uno stile preciso: mettere in scena “Il Piccolo Principe” non è facile, nel senso che si parte da un romanzo, non da un testo teatrale. I dialoghi del libro sono stati mantenuti; la parte descrittiva è stata invece delegata all’impianto visivo di stampo teatrale, che non è solo scene e costumi ma anche musica e luci. Noi, in più abbiamo aggiunto anche lo stimolo dell’olfatto».
Al pubblico arriva tanta roba, insomma.
«Decisamente. Usiamo tutti i linguaggi teatrali: dalla prosa alla canzone, anche se non è un musical, fino alla magia del circo e delle acrobazie. Abbiamo scelto brani di Bowie, Battiato e Maneskin, tra gli altri. Tutto legato e giustificato a fini narrativi: ad ognuno dei personaggi è stata data una chiave espressiva, un modo di raccontarsi».


“Il Piccolo Principe” continua a stupire: offre sempre nuove chiavi di lettura. Quali sono i punti forti del romanzo?
«È un classico nel vero senso del termine, perché capace di sopravvivere a ogni epoca storica. Ha 80 anni ma sembra scritto ieri: quello che l'autore racconta è veramente attuale. Due, per esempio, sono le cose che mi sono rimaste più impresse. Innanzitutto è l’autore stesso del libro a realizzare tutti i disegni contenuti nel libro, impresa non facile perché siamo di fronte a una storia spaziale scritta quando l’uomo neanche pensava di poter andare sulla Luna. Dà vita alle raffigurazioni per rendere credibile una vicenda totalmente incredibile, quella di un bambino che dallo spazio arriva sulla Terra. La potenza dell’immagine non ha uguali. In secondo luogo, i sei personaggi incontrati nel viaggio del principe non hanno nomi, ma sono identificati dalla loro professione o dal loro ruolo, quindi diciamo che il loro lavoro è l'essenza del personaggio. Non credo che 80 anni fa la società fosse già pronta per una simile identificazione: forse solo per i contadini... Invece oggi è proprio questa visione di un particolare del mondo a dominare, anche se a tratti un po’ distopica».