L’eterna lotta tra religioni e culture di cui parla “Il Mercante di Venezia”
Penultimo titolo per la stagione di prosa: Branciaroli sul palco del Teatro Donizetti dal 9 al 14 aprile
Scontri etici, rapporti sociali e interreligiosi mai pacificati, l’amore, l’odio, il valore dell’amicizia e della lealtà, l’avidità e il ruolo del denaro. E la vendetta. Sono tanti, e potenti, i temi universali di cui si fa carico “Il mercante di Venezia”di William Shakespeare, che pone al pubblico contemporaneo questioni di assoluta necessità. Lo spettacolo prodotto da Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, assieme al Centro Teatrale Bresciano e al Teatro de Gli Incamminati, con la regia di Paolo Valerio e Franco Branciaroli nel ruolo di protagonista, è il penultimo titolo della stagione di prosa del Donizetti: va in scena da martedì 9 a domenica 14 aprile. Giovedì 11 aprile matinée ore 10.30; sabato 13 doppia replica ore 17 e ore 20.30. Domenica 14 inizio spettacolo ore 15.30; per il resto, sempre 20.30. Durata: 135 minuti compreso intervallo.
Branciaroli interpreta Shylock, figura molteplice, enigmatica, disumana nella sua sete di rivincita, ma che disorienta gli spettatori suscitando anche la loro pietà. A lui, ebreo, usuraio, si rivolge Antonio, ricco mercante veneziano, che pur avendo impegnato i suoi averi in traffici rischiosi, non indugia nel farsi garante per l’amico Bassanio che ha bisogno di tremila ducati per armare una nave e raggiungere Belmonte, dove spera di cambiare il proprio destino. Shylock, che ha astio verso i gentili e desiderio di vendetta per il disprezzo che gli mostrano, impone una spietata obbligazione. Se la somma non sarà restituita, egli pretenderà una libbra della carne di Antonio, tagliata vicino al cuore.
«C’è sempre qualcosa di potentemente fisico a caratterizzare la figura di Shylock: un forte rapporto con la materia, con il corpo, con ciò che è divorabile… “sazierò l’antico rancore” è una delle prime asserzioni dell’ebreo. Un verbo non scelto a caso, in una battuta che pone subito in luce il tema fondante della vendetta contro una società che esclude chi le è estraneo - commenta Paolo Valerio nelle note di regia -. Sono infatti odio e spirito di vendetta - per gli sputi subiti, per gli insulti di Antonio che lo paragona a un cane rabbioso, per il suo opporsi all’usura - a suggerire a Shylock la crudele obbligazione per il prestito al mercante: “Lui odia il nostro sacro popolo e inveisce contro di noi e io odio lui perché è un cristiano” dice infatti l’ebreo, dichiarando chiaramente lo scenario di un’aperta lotta fra religioni, fra culture».
«Ma nell’immaginario degli spettatori – aggiunge Valerio - è la “libbra di carne” a rimanere impressa, e scivola via invece l’inumana scelta del mercante, fino ad allora tratteggiato come un uomo libero, più o meno illuminato, generoso… E che invece rivela un lato vendicativo, un atteggiamento impositivo che rimanda piuttosto all’oscurantismo dell’inquisizione. Shylock, davanti ad un simile atto, avrebbe potuto a propria volta immolarsi, dire “no, uccidetemi”. Invece per sopravvivere dice “accetto”: questa è la sua vera sconfitta».