Come si riconosce un buon caffè
Un'esperienza sensoriale e affettiva, di cui protagonista indiscusso è il caffè. Apprezzato da oltre il 96 percento di italiani, il piacere della tazzina, un rituale del buon mattino specie se bevuto al bar, si avvale infatti di un mix di buone qualità. Dalla miscela ai processi di preparazione dell’oro nero, all’ambiente, alla tipologia della tazzina fino alla mano del barista.
Per fare un buon caffè contano, ad esempio, le miscele di cui è composta la polvere nera, il tipo di tostatura cui il chicco è sottoposto, e se lo si beve al bar cambia tutto anche la modalità di preparazione del caffè (la macchina calda al punto giusto, la polvere pressata ad arte, e il bottone fermato nell'istante corretto). E ha la sua importanza pure il contenitore, ovvero la tazzina: tanto che, secondo gli esperti, perfino colore, dimensione, materiale di cui è composta e spessore del bordo possono mutare l’apprezzamento del caffè del buon mattino. Neppure l’ambiente è da trascurare e questo fatto spiega come mai gli amanti del caffè prediligano, di norma, berlo sempre nello stesso posto. Ma sarà quello giusto? Per capire se l'espresso ha tutte la carte in regola per una guadagnare un bollino di qualità e unicità, dalla MUMAC Academy, l’Accademia della Macchina per Caffè, arrivano cinque suggerimenti.
1) La crema
C’è crema e crema: quella perfetta deve essere di color nocciola o anche più scura, fino a tendere al testa di moro, meglio ancora se particolareggiata da riflessi rossicci e striature chiare. Anche la tessitura è importante: a maglie strette, di spessore pari all’incirca a 2-4 mm, e dall’aspetto corposo. Vale a dire che la crema sull’espresso deve durare a lungo. Almeno 4 minuti, dicono gli specialisti dell’Accademia MUMAC, senza che la superficie si frastagli o si tagli al centro.
2) L'aroma
Prima del gusto conta l’aroma, ovvero il caffè va assaggiato dapprima con il naso, per testarne il profumo intenso, penetrante, che rivela anche il tipo di tostatura cui i chicchi sono stati sottoposti. Se le narici avvertono un aroma erboso e fruttato significa che la tostatura è chiara (e quindi anche il gusto meno intenso), mentre se dominano le essenze di affumicato e bruciato non c’è dubbio che la tostatura sia stata scura e dunque il gusto più forte e deciso, meno acido.
3) Niente zucchero né latte
Per capire se il caffè è davvero buono, bisognerebbe gustarlo nature, cioè senza zucchero e senza neppure l’aggiunta di latte perché questi due alimenti possono influire sul sapore originale della bevanda, modificandone o abbassando perfino l’aroma, come attesterebbe alcune ricerche sull’argomento. E se proprio non si potesse fare a meno del latte, meglio optare per l’omogeneizzato a ridotto contenuto di grassi che può dare al caffè un gusto e un aroma più intenso rispetto al latte intero.
4) La tazzina
La migliore è quella che garantisce una buona impugnatura, né troppo grande né troppo piccola, non eccessivamente pesante. Pena la possibilità che la famosa crema sulla superficie della bevanda si possa spezzare e addio una delle bontà! Insomma, per dirla in poche parole, la tazzina ad hoc è quella in ceramica o in vetro, come si usa in alcune regioni italiane più modaiole, come la Toscana ad esempio o la Campania, la cui trasparenza manterrebbe il caffè caldo più a lungo. Mentre la bianchezza della tazzina, secondo un altro studio, consentirebbe di stimare meglio l’intensità del caffè. Ovvero, i bevitori nella ceramica lo definiscono meno dolce rispetto al caffè servito in una tazza trasparente o blu.
5) Caffè trendy
Il più di moda è quello dal sapore Etiopia, floreale e fruttato, apprezzato soprattutto a Londra, in Scandinavia o in Australia. Ovvero un caffè con un sentore leggermente più acido, rispetto a quello italiano, di colore più chiaro e dal sapore più fresco. Infatti di norma il gusto di un caffè può essere definito acido, amaro, dolce, salato o aspro la cui dominanza può essere influenzata anche dai processi cui il chicco viene sottoposto. Questo infatti può essere naturale oppure lavato a seconda del metodo con cui viene separato il nocciolo, il ‘cuore’ dei chicchi.