Bergamo in un boccone Il cestino del pranzo è trendy
Un tempo se volevi fare uno spuntino in giro dovevi andare da Mc Donald’s. Oppure c’era il Burghy, alla fine della “vasca” di via XX Settembre. Erano gli anni ‘90.
L’alternativa al mordi e fuggi era il ristorante, nella sua accezione più tradizionale, luogo di ben amato riposo o intrattenimento tra commensali che comportava una sosta dilata nel tempo. Poi, mentre noi italiani assaporavamo il caffè della moka Bialetti, ritagliandoci una meritata pausa dalle faccende quotidiane, Starbucks, in America, abituava i newyorkesi che correvano al lavoro a sorseggiare caffeina nel cartone. A passo svelto e senza indugi. Anni dopo, Clooney ci ha convertito alle cialde, per un consumo più veloce ed espresso, anche se una schiera di nostalgici aspetta ancora il fischio della moka la mattina. Ecco, lo stesso processo è avvenuto per Il cibo di strada.
Oggi è diventato smart. Si adatta alla dimensione frenetica della contemporaneità e risolve il problema del pasto con una soluzione funzionale e rapida. Spesso anche salutare. Lo street food vuole emanciparsi dall’etichetta di cibo spazzatura o nocivo e si declina nelle varietà offerte dal patrimonio gastronomico locale, complice la contaminazione post moderna. Diventando anche creativo, con stazioni mobili sparse sul territorio, come l’Ape di Rivareno o il Furgone street di Eataly. Basta una panchetta e il gioco è fatto. Persino il Gambero Rosso ha sposato il mood di un’alimentazione fugace, proponendo una sorta di classifica delle realtà presenti sul territorio. Chef stellati, programmi televisivi e veri e propri Festival sono partecipi di questa nuova filosofia culinaria.
Perché tanto successo? Perché uno dei grandi piaceri della vita è ancora il cibo. E sgranocchiato per strada regala un senso ancora maggiore di libertà. Libertà di infrangere le regole della buona educazione a tavola, di consumare un fatto privato in un contesto pubblico, entrando in sintonia con la collettività e con lo scenario circostante. Si è da soli e nello stesso tempo insieme ad altri. Il ristorante si apre alla strada, pronto a comunicare con le nuove generazioni, sfuggenti e poco abituate alla quiete, proponendo un cibo di qualità, spogliato delle sovrastrutture, ridotto alla sua essenza, pronto a soddisfare un unico bisogno, quello della fame. Con un budget contenuto, ma sempre gourmant. Certo, la ricetta di Farinetti (il patron di Eataly) ha condizionato non poco il cambiamento sociale, facendosi portatore del concetto di genuinità del prodotto italiano perché il core business del nostro Bel Paese è anche il cibo, tra arte e materia prima, ed è nostro compito valorizzarlo in ogni contesto.
E perché gli adepti sono tanti, anzi tantissimi. Secondo la Fao sono infatti 2,5 miliardi le persone che consumano street food ogni giorno. In Italia il fenomeno diventa sempre più significativo, grazie a blog, facebook, twitter che dispensano consigli e recensioni sui migliori spot del momento. Per la Coldiretti il 45%degli italiani sceglie specialità locali, il 24%internazionali, il 4%quelle esotiche o come sushi o kebab.
Il cibo di strada in terra orobica