Il successo della piattaforma

Con Airbnb, ogni casa è un albergo

Con Airbnb, ogni casa è un albergo
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C’è stato un tempo, non lontanissimo, in cui pianificare un soggiorno fuori casa non poteva prescindere dal fare un salto all’agenzia di viaggi. Erano tempi scomodissimi: per concludere qualunque affare bisognava ancora alzarsi dal divano. Oggi – i nostalgici e i luddisti se ne lamentano – più o meno tutto è a portata di clic, o di app. Anche le vacanze. Se all’egemonia della tecnologia e dei social, aggiungiamo il fatto che prende sempre più piede l’idea della sharing economy, ecco stravolti i paradigmi del turismo tradizionale. Ma che significa sharing economy? È un approccio economico innovativo, basato sul consumo condiviso di un bene o di un servizio, più che sul loro acquisto: lo abbiamo già sperimentato con le auto; lo stiamo sperimentando con gli alloggi.

Airbnb è una piattaforma, nata in America nel 2008, in cui chi cerca una sistemazione per brevi periodi può entrare in contatto con persone che mettono a disposizione un proprio spazio. Spazio in generale, perché su Airbnbche prende il nome da air bed, materassi gonfiabili, quelli con cui i tre fondatori fecero i primi tentativi di condivisione – mica si affittano solo usuali appartamenti: può anche succedere di abitare per qualche giorno in un castello, in una tenda, in un faro, in una casa sull’albero o in una caverna.

 

 

Come funziona per chi cerca “casa”? Tutto quello che bisogna fare è optare per una città nei 190 Paesi in cui il sito è attivo e stabilire le date del viaggio. Chi tiene alla riservatezza può decidere di soggiornare in un posto tutto per sé; chi preferisce apprendere da chi ci abita lo stile di vita del luogo (e risparmiare) può, invece, condividere gli spazi coi proprietari. Le descrizioni, le foto verificate e le recensioni raccolte dai viaggiatori già passati da lì aiutano a scegliere fra gli annunci il più adatto alle proprie esigenze. E non dimentichiamo che Airbnb è anche una community: gli utenti hanno un profilo e possono scambiarsi messaggi e imparare qualcosa dell’altro prima di prendere l’impegno. Una volta che la prenotazione è confermata, è la piattaforma che cura la transazione, trattenendo per sé il 3 percento dall’host edal 6 al 12 percento dall’ospite. L’host, però,non riceve il compenso che gli spetta finché non sono passate 24 ore dal check-in, perché sia garantita, a chi arriva, la possibilità di controllare che tutto sia a posto e di chiedere, altrimenti, il rimborso.

Di cosa deve preoccuparsi chi ospita? Dato lustro alla seconda casa disabitata o alla stanzetta degli ospiti (alla barca, al camper o all’igloo) e accertatosi che non siano a rischio crolli, incendi e piaghe d’Egitto, l’host è quasi pronto a inserire un annuncio sul sito. È importante essere esaustivi nell’illustrare i servizi e le regole ed entusiasmanti nel proporre quel che di bello si può fare, o vedere, nei dintorni. Prima di tutto, e per scongiurare sanzioni, Airbnb raccomanda, però, a chi ospita di verificare che le normative del suo Paese lo permettano e di farsi carico di eventuali obblighi fiscali.

 

 

È già successo, infatti, che gli utenti di Airbnb siano rimasti implicati in controversie di natura legale: la prima sentenza nel 2013, quando un newyorkese è stato condannato a pagare 2400 dollari perché la legge statale lì vieta l’affitto per meno di trenta giorni se il proprietario non è in casa. E non sono mancate nemmeno polemiche delle categorie in concorrenza: un po’ come i tassisti insorti per Uber – l’app attraverso cui anche i privati possono offrire un servizio di trasporto –, gli albergatori non hanno certo accolto Airbnb a braccia aperte, accusando l’azienda di permettere agli utenti di aggirare i meccanismi burocratici a cui loro, invece, devono sottostare (la tassa di soggiorno, per esempio).

Italia rules. Chissà se è perché aderiamo al nostro cliché di italiani che vivono bene nelle zone grigie della legge o perché riconosciamo in quest’idea un’opportunità di riscatto dopo gli anni di crisi. Sta di fatto che il nostro Paese viene solo dopo Stati Uniti e Francia nella classifica dei mercati in cui Airbnb lavora di più e i numeri crescono di anno in anno: gli alloggi disponibili in Italia sono 150mila, il 99 percento in più rispetto a giugno dell’anno scorso, complice sicuramente anche Expo. Se non avete ancora provato, quindi, pare sia tempo di unirsi ai milioni di utenti Airbnb, di alzarsi comunque dal divano e andare a scoprire il mondo.

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