Analisi sociale

La dote di Oprah e Trump

La dote di Oprah e Trump
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Cosa hanno in comune la star televisiva Oprah Winfrey e il presidente Donal Trump? Niente, sembrerebbe la risposta più logica. Eppure c’è qualcosa di molto importante che riguarda entrambi. Donald Trump è partito dal Queens, quarto di cinque figli, avviato alla carriera militare già da adolescente, prima che si conquistasse un posto nell’azienda immobiliare di famiglia, nella quale fece delle scelte apparentemente avventate ma che si rivelarono lungimiranti, permettendogli di entrare ufficialmente nel panorama immobiliarista newyorkese. Con la costruzione della Trump Tower (cinquantotto piani di lusso sulla Fifth Avenue), l’apertura di diversi casinò ad Atlantic City e l’ingresso nel mondo televisivo, negli anni novanta Trump iniziò un percorso che lo avrebbe portato fino alla Casa Bianca. Oprah Winfrey è una figura completamente diversa: conduttrice televisiva, autrice e filantropa statunitense, la “Regina di tutti i media” è stata classificata come la più ricca tra gli afroamericani del ventesimo secolo. Dopo una carriera in comunicazione e varie apparizioni in produzioni cinematografiche, è stato solo quando ha scommesso su un format di talk show molto particolare che è diventata un’icona americana. Seguendo la propria intuizione e scardinando il modello tradizionale del programma, con il suo The Oprah Show è diventata, oltre che famosa e milionaria, un modello da seguire.

 

 

Ciò che accomuna Oprah e Trump è la loro attitudine imprenditoriale, un carisma che li ha spinti a creare nuove attività allontanandosi dai sentieri battuti. Un’imprenditorialità che non può essere semplicemente considerata un modo di approcciarsi al lavoro ma che corrisponde a uno stile di vita, che si ritrova anche nelle storie di tanti “imprenditori di sé stessi”, geni ribelli come Bill Gates e Steve Jobs, che hanno rivoluzionato la cultura e il modo di operare dei “mondi” dai quali provenivano (nel loro caso, Windows e Apple). Se il Donal Trump italiano può essere probabilmente considerato Briatore, che con il suo Billionaire aveva creato un punto di riferimento per il jet set italiano in Costa Smeralda, Adriano Olivetti potrebbe essere avvicinato a Steve Jobs per la loro comune ricerca di soluzioni innovative e con un design d’eccellenza. Lo spirito imprenditoriale, infatti, è ben più del semplice fare impresa. È quello che l’economista Schumpeter definiva la «distruzione creatrice» che porta al nuovo, scardinando una società piramidale e spingendo chi la applica a distinguersi dalla “folla”. Succede a coloro che decidono di diventare i capi di se stessi, correndo dei rischi e assumendosi la responsabilità delle proprie scelte, sicuri di poter fare, tramite le loro attività, la differenza nelle proprie imprese e vite. Secondo molti è una qualità innata; per altri una dote che può essere trasmessa e fatta crescere.

 

 

Quando, allora, lo spirito imprenditoriale diventa modello di vita? La risposta potrebbe essere nella passione, in quel “fuoco sacro” che ha animato le scelte di tanti imprenditori facendo di loro vere e proprie star da emulare (non è un caso che in tanti si siano fatti tatuare la celebre frase di Steve Jobs: «Stay hungry, stay foolish»). Perché, come chiunque abbia uno spirito imprenditoriale sa bene e come lo scrittore Paolo Coelho ha suggerito, «se si vuole ardentemente qualcosa tutto il mondo si muove per venirci incontro», soprattutto quando si decide di aprirsi al nuovo.

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