Alà, cór!

Il Dpcm ci allontana ma il Gps ci tiene uniti

La Dad è un incubo, ma il digitale - a chi ama correre - dà un po’ di conforto, di vicinanza, di senso di comunità in questo periodo così complesso e difficile

Il Dpcm ci allontana ma il Gps ci tiene uniti
Pubblicato:

di Marco Oldrati

La Dad è un incubo, lo dico da genitore, ma il digitale ai corridori dà un po’ di conforto, di vicinanza, di senso di comunità in questo periodo così complesso e difficile. Come? In forme diverse, dalle più banali alle più intelligenti, passando anche per modalità un po’ sciocche, ma sicuramente emblematiche di un bisogno di socialità che esiste nel mondo dei corridori di qualsiasi età e di qualsiasi estrazione.

È un mondo di condivisione quello del corridore digitale che abbiamo già più volte sfiorato, parlando di uno degli attrezzi più perversi della storia della pratica sportiva: il rilevatore di prestazione. Si tratta di un orologio o in altri casi di una app installata sul telefono cellulare (portato con un certo orgoglio un tempo – oggi un po’ meno sul braccio in un’apposita tasca con velcro per fissarla), che rileva quanta strada si sta percorrendo, a che velocità istantanea, a che velocità media. Poi dà anche altre informazioni, come il battito cardiaco, la velocità ad ogni chilometro e tutto questo mentre si corre. Una volta che si arriva a casa il computer di bordo fornisce tutta un’altra serie di informazioni come l’altimetria, la Vam (velocità ascensionale media), fa il caffè, riscalda l’arrosto… a parte gli scherzi, il corridore di questo secolo e di questo millennio è connesso e questo – se usato con il famoso grano di sale – non guasta.

Perché non guasta? Perché crea un mondo di relazioni più o meno scombiccherate, ma piuttosto simpatiche e spesso anche utili. La prima forma d’uso è quella più esibizionistica: dalla foto dell’orologio-cronometro scattata con il cellulare e poi immediatamente condivisa in chat con gli amici al link con la prestazione registrata su uno degli appositi siti (a pagamento …), tutti più o meno amiamo dire “quanto siamo andati forte oggi” oppure raccontare con aria semidisperata della batosta da eccesso d’orgoglio che abbiamo preso inseguendo amici più in forma o chimere da record personale.

E fin qui siamo al narcisismo, ma è un narcisismo sano, perché spesso sono gli amici a mettere in vista quanto siamo andati forte e a farci arrivare complimenti inattesi da persone che nemmeno sapevano che ci fossimo imbarcati nell’avventura di correre.

Ma poi ci sono anche le informazioni utili: percorsi segnati su mappe virtuali diventano tracce per ritrovarsi lungo il tracciato fra gente che vuole salutarsi e che non ha altro mezzo che la corsa per incrociare un amico residente in un comune limitrofo e fargli un rapido ciao in quest’epoca di assembramenti vietati (se quelli dei podisti sono assembramenti, la gente in giro per il Sentierone con negozi aperti in zone rosso sbiadito sono adunate oceaniche, ma è solo un’opinione personale…).

E sono anche dei percorsi test, su cui misurare i nostri progressi, da un mese all’altro, da una stagione all’altra. E non solo, anche sfide a distanza, per competizioni fra amici che di virtuale hanno solo il risultato, perché la fatica è tutta vera, fiatone e acido lattico compresi!

E non solo, sull’onda di queste sfide “a distanza” è nata e ne siamo lieti la stagione delle gare 4.0, delle corse a cui ci si iscrive con il semplice compito di correre per un certo numero di chilometri o su un certo percorso in qualsiasi momento della giornata, senza un orario di partenza o un tempo massimo: requisito di partecipazione avere uno di quei marchingegni che misurano tempo e distanza e poi conferire il risultato in una classifica che oggi finisce per chiamarsi database.

Una roba da “scoppiati”? Un pochino sì, ammettiamolo, ma anche uno dei più puliti e rispettosi meccanismi aggregativi per gli sportivi che il Covid non sia riuscito a danneggiare, perché in questo modo tutti corriamo insieme, raccontandoci a distanza di giorni esperienze comuni come panorami, fatica, pendenze, tramonti, albe, profumi per essere transitati nello stesso posto oppure per aver corso “nella stessa manifestazione”, ricercando un senso di comunità che ci fa bene oggi in quest’epoca così strana, ma che ci ha sempre unito e sempre ci terrà vicini nel mettere in comune esperienze, sensazioni e gioie.

Già, perché il corridore digitale non ansima di meno, non suda di meno, non sgrana di meno gli occhi di quello di un tempo: certo, dirà qualcuno, è meno romantico guardare un orologio che ci dice quanto veloce stiamo andando che “sentire il passo” nelle gambe e nel dilatarsi del torace sotto sforzo, ma è anche vero che questi attrezzi ci hanno dato il modo di rallentare prima di andare fuori giri o di goderci il nostro stato di allenamento senza troppe preoccupazioni, consapevoli (e non solo per una padronanza di sensazioni e di feedback fisici, che non è dono di tutti) di quanto stiamo forzando o semplicemente di quanto “ce la stiamo godendo”.

Il digital runner? Un animale sociale, direbbe Aristotele.

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