Compra che ti passa

Leroy Merlin, diario di una cassiera

Leroy Merlin, diario di una cassiera
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Come tutti gli studenti che si vogliono pagare gli studi (e le vacanze), mi è capitato di fare la cassiera in un grande negozio: il Leroy Merlin. Paradiso degli appassionati del “fai da te”, nel fine settimana è insospettabilmente meta di intere famiglie, trascinate questa volta dal maschio di turno in preda a manie di ristrutturazione.

Ho visto mariti arrampicarsi sugli specchi cercando di giustificare il necessario acquisto di un misuratore laser per poter attaccare un quadro. Ho visto mariti comprare fiori alle mogli per potersi tenere il set da giardinaggio comprendente dieci utensili. Ho visto mariti tornare furtivamente da soli guardandosi le spalle per acquistare una levigatrice a nastro.

 

 

Lavorare in cassa, una volta acquisiti i movimenti automatici e il conteggio rapido del denaro, può essere una spassosa osservazione sociologica. La giornata del sabato inizia alle 9. Si aprono le porte scorrevoli. I primi clienti del mattino sono di due tipi: lavoratori poco disposti al dialogo oppure vecchietti attivi a cui urge il bullone e che hanno fretta di tornare a casa. La cassiera è felice, essendo tendenzialmente taciturna al mattino per risparmiare forze.

La situazione si anima verso le ore 10.30, quando iniziano ad arrivare i primi pensionati in cerca di ascolto e i primi sfaccendati del weekend. Il cliente tipo della tarda mattinata viene essenzialmente per comprare dalle due alle cinque viti, oppure una guarnizione o tre gommini per le sedie. Che tornerà poi a cambiare il giorno dopo, con estrema gioia dell’accoglienza clienti, che dovrà stampare fogli di reso per l’astronomica cifra di 1,50 euro.

 

 

Le code alla cassa iniziano ad allungarsi a cavallo del mezzogiorno, tutti hanno fame e migrano in massa verso il pranzo. La cassiera a questo punto ha già cominciato a sudare da almeno un’ora e la media è uno scontrino al minuto circa. Quindi ovviamente capita uno dei primi inghippi tecnici della giornata, a scelta tra i seguenti o anche uno di seguito a l l’altro: si blocca il POS, qualcuno deve pagare con un assegno, qualcuno ha preso un articolo senza codice a barre, qualcuno vuol pagare con una banconota da 500 euro o con monetine da 5 centesimi.

Ma la vera sfida inizia verso le 3 del pomeriggio, quando dalle porte scorrevoli entra il terrore di ogni lavoratore weekendista: le famiglie con bambini. In testa c’è il padre che ha intenzione di rifare la camera dei figli spendendo il meno possibile, e ha già in mente cosa comprare. Dietro c’è la madre, che è scettica sulle abilità del consorte e ha ovviamente un progetto completamente opposto nella testa. Nel carrello bambini con almeno cinque mani ciascuno che toccano ogni cosa più bassa del metro e cinquanta. Noi cassiere ovviamente non assistiamo a ciò che avviene nei reparti. No, noi ne subiamo l’esito finale.

 

 

Due ore dopo sono le 5 del pomeriggio, il negozio è stracolmo e la fila alle casse ormai arriva in tangenziale. La famiglia arriva a noi. Il marito scarica il carrello taciturno, la moglie fruga nella borsa senza guardare quello che sta per pagare, evidente segno di disapprovazione. Tu passi tutto, compresi i venti tipi differenti di gancetti in alluminio di cui ovviamente hai dovuto cercare il codice uno a uno, e quando lui ha già riposto tutto nel carrello e tu hai chiuso il conto, lei ti dice: «Oh, ma avevo la vostra carta fedeltà!». A questo punto il tempo si ferma. Tu stai provando a incenerire la signora sorridendo, lui ha avuto una paresi mentre reggeva un barattolo di vernice e si chiede evidentemente perché l’ha sposata, tutta la fila dietro ribolle e lei se ne sta lì con la sua tessera verde tra le dita, serafica per ottenere i suoi 5 euro di sconto. «Ora devo ribattere lo scontrino signora, va bene lo stesso?». «Se non ti fa niente».

 

 

Come posso spiegarle che mi fa molto invece, perché sono otto ore che batto scontrini e sorrido? Quindi scelgo il silenzio e ricomincio, pensando che prima paga, prima se ne va. Ma ci stiamo dimenticando qualcosa: i bambini. Anche i genitori se ne sono dimenticati, fino a quando, proprio al momento del pagamento, uno degli infanti riemerge urlando dalla coda con un tubetto di Attak e quattro buste di carta appiccicate al dito. Che devi ovviamente aggiungere allo scontrino, ribattendolo da capo.

Dopodiché, se non hai ucciso nessuno, bisogna forsennatamente smaltire la coda per guadagnarsi l’uscita all’orario prestabilito. E finalmente, finisce il tuo turno. Spegni la luce della cassa, tiri la corda e guardi con la strafottenza del giusto il cliente che si sta avvicinando alla tua cassa per paga re. Finalmente fuori! Saluti il parcheggiatore con un sorriso, questa volta sincero, dicendo convinta: «7 euro e 90!».

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