Ora c'è pure il cappuccino veg
Gli italiani amano essere alternativi, anche al bar, al mattino facendo colazione o nell’arco delle giornata. Optando cioè per bevande, in particolare il cappuccino, vegan, nelle quali il caffè è mixato e schiumato con del latte ottenuto dai cereali. Abbandonando totalmente, e talvolta senza motivazioni giustificate (ovvero solo per gusto e non per intolleranza alimentare), il latte vaccino: un errore salutistico, specie per donne, bambini e anziani. Lo attesta il paniere degli italiani, emerso da indagini Istat del 2015.
Il cappuccino veg. Di soia, di avena, di mandorla o di riso: sono queste le qualità di latte vegetale più gettonate, a casa o al bar, per preparare un cappuccino fumante che dia il buongiorno al mattino. Sebbene non siano esclusi latti anche provenienti anche da altri legumi o cereali. Non serve essere intolleranti al lattosio per prediligere questa scelta, perché pare essere solo e soprattutto una questione di moda. Almeno stando a quanto attestano l’ultimo paniere Istat e la Coldiretti, dopo una elaborazione dei dati del Rapporto Coop, secondo il quale il consumo di latti vegetali sarebbe aumentato solo nel 2015 del 27 percento. Nonostante l’esborso economico, sensibilmente più elevato. Infatti i prezzi parlano chiaro: la spesa è superiore anche al doppio di un latte di alta qualità, tutto italiano, vaccino e fresco, e a più del triplo rispetto a quello a lunga conservazione.
Il tipo di latte vegetale. Bisogna saper scegliere, anche quando si beve vegan. Perché non tutti i latti consentono di fare dei cappuccini di qualità: buoni, schiumosi e con un perfetto equilibrio di gusti, nel quale cioè non prevalga né l’aroma del caffè né il sapore del cereale. L’optiumum pare essere il latte di soia: un paradiso, dicono gli esperti e gli amatori, perché fra tutti i latti vegetali è quello che contiene proporzionalmente più "materia grassa". E questa caratteristica consente di fare una crema molto più schiumosa, soffice, abbondante, persistente: quella che insomma non svanisce subito, ma crea i baffi appena sopra le labbra o fa venire la voglia di finirla tutta, pulendo la tazza con il cucchiaino. Il latte di riso, invece, se schiumato, ingloba aria e forma tante bollicine: in altre parole significa che non monta nemmeno con un buon gettito di vapore e, diciamocelo, se manca la schiuma, il piacere del cappuccino dove sta? In ultimo, il latte di mandorla: qui le cose vanno un po’ meglio, in fatto di schiuma si intende, ma essa è più indicata per spumare piccole quantità di caffè, come un macchiato ad esempio, perché il gusto del latte di mandorla è più intenso e alla fine prevarrebbe su quello del caffè ‘mandorizzandolo’, che non è proprio cioè che ci si aspetta da un buon cappuccino. Anche veg. Mentre da un punto di vista nutrizionale, il latte di mandorla, resta la scelta da preferire perché, rispetto al latte scremato, è leggermente più ricco di materia grassa, ma di grassi buoni, cioè insaturi.
Un piacere una tantum. Il cappuccino veg andrebbe inteso proprio così, come una variazione sporadica o periodica sul tema del latte vaccino, a meno che non si abbiano reali, e non presunte, controindicazioni al latte tradizionale. Il quale è fondamentale per il benessere dell’organismo: resta infatti la migliore fonte di calcio; struttura cioè le ossa dei bimbi in fase di crescita, protegge quelle delle donne contro il rischio di osteoporosi e negli anziani tutela anche dall’eventuale anemia, favorendo l’apporto di vitamina B12. Poi il latte vaccino contiene anche vitamina D, fondamentale per l’assorbimento del calcio, mentre sono da sfatare le credenze secondo cui sia un alimento pesante, difficile cioè da digerire o causa di disturbi digestivi, o peggio che possa favorire l’insorgenza di tumore. Il cui rischio potrebbe verificarsi solo nel caso in cui si bevessero, ogni giorno, 4 litri di latte: una quantità improponibile anche per i più grandi amatori di questa bevanda.
Sono poche le reali intolleranze. Una presunta intolleranza è spesso il pretesto per escludere il latte vaccino dalla propria dieta. Fatto sul quale c’è molto da discutere, perché gli esperti dichiarano che l’intolleranza al lattosio, dunque a un particolare zucchero contenuto nel latte e non al latte in sé, è possibile negli adulti, specie se di razza nera, in quanto la predisposizione si ridurrebbe sensibilmente mano a mano che si sale verso longitudini a nord del mondo. Quindi, in Italia, le percentuali non sarebbero poi così elevate. Secondo: anche nel caso in cui ci sia questa comprovata reazione avversa, essa non esclude che si possano mangiare formaggi che non contengano lattosio o anche bere latte che ne sia privo. Mentre nei bambini, l’intolleranza al lattosio congenita è molto rara, coinvolgendo meno dell’1 percento della popolazione pediatrica e, anche qualora esistesse, ha vita breve, perché di norma scompare entro il 18esimo anno di età.
C’è poi l’intolleranza alle proteine del latte, possibile, ma anch’essa piuttosto rara e riguardante una fetta di popolazione selezionata: quella cioè maggiormente esposta a questa sostanza, come i lavoratori del settore caseario, ad esempio, o coloro che abbiano usato a lungo prodotti cosmetici come ciprie, polveri o talchi, che in passato contenevano questo ingrediente, oggi invece abolito.