Estremismi alimentari

Pensieri segreti di una commessa Ma dite davvero, amanti del bio?

Pensieri segreti di una commessa Ma dite davvero, amanti del bio?
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Al giorno d’oggi, si sa, sono tutti molto più attenti di una volta all’alimentazione. O almeno piace a tutti pensarlo. Ed ecco che all’estremo opposto di Mc Donald e dei cibi surgelati troviamo il reparto bio. Dove ogni cosa deve essere naturale, nel rispetto dell’etica animalista, certificata, salutare, ricca di vitamine e, soprattutto, cara. Se tra i lettori ci sono difensori del bio, mi diranno certamente che il costo di vendita è dovuto al fatto che le prelibatezze in questione sono prodotte nel rispetto di norme che impediscono l’utilizzo di fertilizzanti o additivi chimici, e che perciò il prezzo sale perché la resa è minore. Benissimo.

Porzioni ridotte. Ma ci sono cose che invece non riesco proprio a spiegarmi, come ad esempio il fatto che i prodotti bio debbano essere pochi. Ogni confezione contiene una quantità di pezzi, che ne so, biscotti, insufficiente a sfamare persino un criceto. Ma forse io sono ancora abituata alle volgari porzioni industriali. Continuo però a chiedermi se i bio-clienti abbiano davvero una fame così conforme alle esigenze ecologiche o se invece, appena finiti i biscotti integrali alla soia grigia del Nepal, non si fiondino allo spaccio della Galbusera in preda a fame “chimica”. Andiamo, una confezione di cracker da sei porzioni è al limite della legalità. Ma forse è una bio-regola: la domenica niente merenda.

 

 

Le commesse temono il reparto bio. Le commesse del supermercato non si avvicinano volentieri al reparto bio. Sono terrorizzate dal cliente tipo, che, essendo bio, crede automaticamente di essere superiore a un qualsiasi frequentatore di ipermercato. Loro non comprano più le grandi marche, loro non foraggiano le multinazionali. Loro sono per le boutique e per il commercio equo-solidale. Loro pensano alla loro salute. E allora perché calpesti questo suolo impuro? Oggi la mecca del tortino di rapa e truciolo era chiusa? Ma forse rientra nella religione di questi individui entrare in un iper e dar fastidio alle commesse. Una specie di missione evangelica, tipo testimoni di Geova, ma senza citofono.

Avete le bacche del Madagascar? Vedo la commessa timorosa, che è stata estratta a sorte per riassortire il reparto dei prodotti bio, trasalire terrorizzata quando il cliente le compare alle spalle. «Mi scusi, dove posso trovare le bacche rosse del Madagacar?». La commessa prova a immobilizzarsi, nella speranza che funzioni come per i tirannosauri, ma sa che le sue possibilità di fuga sono praticamente nulle. Bastano quei secondi di esitazione per sentire l’indignazione dell’etico non-frequentatore di supermercati piantarsi dritta nella sua tempia. «Ma come, non le tenete?». La povera scaffalista vorrebbe tanto sapere come sia l’aspetto di una bacca rossa del Madagascar, per distrarre la belva e fuggire, ma non è abbastanza veloce. È già in arrivo la citazione, la predica, l’evangelizzazione bio-etica-vegana-truciolariana sull’importanza della bacca nell'alimentazione umana, su come sia antiossidante, anti tumorale, anti influenzale, anti ruggine, anti neve e anche anti aerea se la sparassimo in cielo con le cerbottane del Madagascar.

 

 

Tra bio lover ci si intende. Per fortuna arriva un altro avventore che si infila giusto tra i due, consentendo alla commessa di sparire sotto al suo bancale di gallette di compensato. I due bio si riconoscono subito, hanno lo stesso carrello vuoto, sul cui fondo giacciono quelle confezioni scarne dai colori neutri. Sì, pare che un’altra regola di questo reparto sia mantenere il colore dell’involucro in una gradazione tra il verde sbiadito e l’ocra spento, giusto per invogliare alla vita. Anni e anni del famoso effetto farfalla contraddetti in un baleno. Si analizzano la spesa a vicenda, e dopo aver constatato che sono entrambi masticatori di corteccia, si possono salutare con più gaudio e iniziare a criticare il centro commerciale. «Perché per esempio non tengono l’olio di badanga per depilarsi? E perché ci sono soltanto le banalissime gallette di mais, che ormai danno in omaggio anche dal benzinaio, invece che quelle equo solidali all’argilla? Inaccettabile». La commessa origlia la conversazione cercando di accatastare velocemente succhi al fieno e pasta integrale per svignarsela, ma la tortura non è ancora finita.

 

 

Chiamateli voi dolci, quelli. I due clienti hanno la domandona finale, vogliono comprarsi un dolcetto bio: gallette di riso impoverito ricoperte di cioccolato fondente magro al latte di soia. Dietro lo sguardo vacuo della commessa, vedo distintamente la sua ira funesta farsi strada. Passi la pasta integrale, i cracker di compensato e i biscotti di crusca in pacchetti da tre, ma questo è troppo. Chiamare dolce un’accozzaglia di insipidità è un insulto per tutte le nonne che ci hanno nutrito a burro e cioccolato Kinder. «Non esistono» dice la commessa battendo le ciglia. E i due bio stavolta capiscono che è eticamente scorretto infastidire una serva del capitalismo, ma soprattutto che se non spariscono presto la suddetta li inseguirà con un enorme clistere di olio di palma, rigorosamente estratto dalla Nutella.

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