Davvero i biscotti singoli?

Pensieri segreti di una commessa Parliamo un attimo di packaging

Pensieri segreti di una commessa Parliamo un attimo di packaging
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Presa dall’ossessione sui sacchetti, sono stata preda del sacro furore dell’ecologia e mi sono messa ad osservare tutti i sacchi e le scatole che ci circondando. Certo questa storia dei sacchetti compostabili è un primo passo, ma vista la quantità di imballaggi esistenti abbiamo davanti una maratona. Spendete un attimo di tempo mentre fate la spesa e osservate le corsie. Non c’è un prodotto che non sia avvolto in plastica o carta. Ma non sto parlando di normali e sensati involucri atti al contenimento fisico degli oggetti. Sto parlando di una vera e propria forma d’arte; o forse di psicosi, faccio fatica a distinguere.

 

 

I colori. Prendete innanzitutto i colori. Escludiamo il reparto bio, che come è noto ha quella tinta sbiadita (tecnicamente color cadavere-in-formalina) che evoca nel cliente medio salubrità e bontà. Tutto il resto è un tripudio di tinte accese e abbinate tra loro, mescolate negli scaffali come in un Pollock dopo la festa di capodanno. La vista viene letteralmente violentata, altro che effetto farfalla. Inizio a capire perché la gente è attirata dal reparto bio; si riposa le retine. Suvvia, tutti noi istintivamente sceglieremmo quella confezione di ravioli elegante e profilata di blu con sopra la stampa della fattoria di nostra nonna piuttosto che quell’anonima vaschetta trasparente con sopra un’etichetta stampata male che dice bruscamente: “ravioli”. Fa niente se indagando si scopre che entrambi sono prodotti nello stesso stabilimento lontano; primo, nessuno indaga, secondo, stiamo mangiando anche un po’ di eleganza (che smagrisce).

 

 

Gli affettati in vaschetta. Che dire poi degli affettati in vaschetta? Quando si tratta di comprare del maiale insaccato, non c’è proprio dubbio. Si compra quello dove le fette sono meno sovrapposte e i colori incorniciano il prosciutto con sapienza. Non sembra nemmeno più così grasso, e se guardi controluce appare pure la primavera del Botticelli. Fa niente se la vaschetta occupa un metro quadrato e nel frigo ci entra soltanto in obliquo, però almeno non fai fatica a staccare una fetta dall’altra, no? Anche perché ne contiene tre. Un po’ come comprare le mele in confezioni di polistirolo da quattro pezzi, avvolte con la stessa plastica che usano in aeroporto per proteggere le valige. Che costa di più e inquina l’ho già detto. Ma mica posso impiegarci tutti quei secondi a scegliermi le mele dal cesto, tanto più che quelle nella confezione sono notevolmente più belle. E c’è scritto in tutti i libri di biologia che la mela più bella e lucida è quella che contiene più vitamine. È un assioma che il cliente medio interiorizza da bambino, quando gli fanno scegliere tra la Barbie nella scatola rosa e la “Sbarbie” che sta nel cestone da tutto un euro.

 

 

I biscotti singoli. Ma questa moda dell’imballaggio è andata anche oltre. Per esempio, ragioniamo sui prodotti da forno incartati uno per uno dentro la confezione grande. Passi per le brioches, così uno se la mette nello zaino per fare merenda. Voglio lasciar passare anche i grissini in confezioni da due, sebbene non conosca nessuna persona che si limiti a mangiare una coppia di grissini. Ma i biscotti confezionati singolarmente? Svelatemi questo mistero. Perché, se voglio fare colazione, devo disboscare mezza Amazzonia? Cosa vi spinge a pensare che una persona prenda un biscotto solo e se lo trasporti in giro per il mondo abbandonando la confezione aperta ai quattro venti? Non siamo più capaci di richiudere con una molletta il pacco dei Pandistelle? Lo sfregamento tra biscotti ci turba il sonno? Abbiamo schifo delle nostre stesse mani che accidentalmente possono sfiorare i restanti amaretti mentre ne afferriamo uno? Questo dei biscotti deve essere lo stesso trauma di chi ha iniziato a incartare le pastiglie della lavastoviglie come fossero mentine. Poi non lamentatevi se i bambini si avvelenano.

 

 

I rasoi. Quello che però mi lascia veramente perplessa sono gli imballaggi dei rasoi. Altro che rasoi Bic. I peli delle persone ormai si rifiutano di farsi radere da un comune rasoio promiscuo che non ha nemmeno uno straccio di capsula personale che lo separi dagli altri. Sono giunta alla conclusione che per venderceli facciano leva sulla nostra infanzia, cosicché noi, ricordando di come eravamo felici comprando spade laser e scettri di Sailor Moon, decidiamo di comprare proprio quel prodotto. «Costa 15 euro, ma dalla confezione sembra proprio che mi donerà il potere della luna!», pensa in realtà la cliente media acquistandolo; e così si mette nel carrello una confezione con cui dovrà lottare per un quarto d’ora prima di aprirla. Sempre ammesso che non perda le dita o i denti cercando di scartare il rasoio senza forbici

Le pile. In uscita non dimenticate di gettare un’occhiata alle pile, specialmente quelle da orologio: solitarie e stoiche in quelle lande desolate di cartone, sono un vero e proprio monumento all’horror vacui a cui cerchiamo di sopperire con tutta questa plastica.

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