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Pensieri segreti di una commessa Volete essere assunte? Mentite

Pensieri segreti di una commessa Volete essere assunte? Mentite
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Vi vorrei oggi rendere edotti su uno dei misteri del nostro lavoro di commesse/cassiere. Il nostro colloquio di lavoro. Ci credereste che siamo anche dovute passare da una selezione per fare il lavoro che facciamo? Per passare un colloquio occorrono qualità che voi non vi immaginereste mai, soprattutto perché tali abilità servono soltanto per essere assunte, e poi mai più durante il lavoro, che invece richiede tutt’altre doti, soprattutto pazienza. Quindi mettetevi subito nei nostri panni e immaginate. La commessa tipo è una studentessa universitaria, o magari anche già laureata, ma che purtroppo ha la cattiva abitudine di mangiare, e quindi non riesce ad accontentarsi di fare quei magnifici tirocini non retribuiti che molte aziende propongono a chi ha un titolo di studio. Ergo, vi state preparando a questo colloquio con la disposizione d’animo di chi sta per soffiarsi il naso sulla sua laurea, ma non importa, fatevi coraggio e preparatevi.

L’aspetto. Di solito la commessa deve essere mediamente carina e sorridente. Quindi a questi colloqui ci si presenta abbastanza in ghingheri, truccate e con i capelli in ordine. Non importa se poi molto spesso vi verrà fornita una divisa modello sacco di cipolle e i neon del negozio evidenzieranno le vostre occhiaie anche sotto il cerone. Al colloquio bisogna essere più che presentabili. Arrivate quindi all’appuntamento e dalla borsa estraete il vostro migliore sorriso d’occasione e lo indossate. Prima e dopo di voi ci sono di solito altre candidate. A volte sono combattive e aggressive e se le guardate sorridendo ringhiano (chissà perché fare amicizia con voi pregiudicherebbe il loro colloquio), ma altre volte riuscite a fare una chiacchierata e capite tristemente che sono quasi tutte laureate e disperate. Poi vi chiamano. Si va in scena.

 

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La recitazione. Di colloqui ne ho fatti tanti e per i primi ero agitata, poi ho iniziato a divertirmi e a sciorinare le mie doti teatrali. Non sono ancora riuscita a capire se chi fa selezione del personale c’è o ci fa. Se qualcuno di voi mi legge, rispondetemi: veramente credete alle cose che vi raccontiamo? Di solito si parte con una presentazione generale, e fin qui è abbastanza facile. Chi sono, cosa mi piace fare, sto studiando, sono laureata ma non me ne frega niente dei miei studi, sia chiaro. Basta mantenersi sul generico e fare finta di essere la ragazza media. Dopo questa fase che dura circa cinque minuti e che vi avrà già annoiato, il selezionatore inizia a esercitare la sua criptica professione. Da questo punto in poi, ogni cosa è lecita; dimenticatevi della logica, dimenticatevi chi siete e improvvisate. Prostituite la vostra identità alla causa: farvi assumere.

Non siate fidanzate. Se siete donne, quasi sicuramente vi verrà chiesto se siete fidanzate. Attenzione, questa domanda è inaspettatamente a trabocchetto. Se siete fidanzate e innamorate e iniziate a decantare quanto sia magnifica la vostra storia d’amore, per il selezionatore questo vuol dire solo una cosa: bambini. Potreste potenzialmente essere già gravide, per quanto ne sa lui. Ipotizzo infatti che a breve sarà di routine durante il colloquio un’ecografia, giusto per mettere al sicuro le aziende dalle truffe, poverine. All’inizio anche io rispondevo la verità, ma appena dicevo sorridendo che ero impegnata, vedevo il reclutatore trasformarsi in Barbablu e chiedere sgranando gli occhi: «Ma quindi avete intenzione di fare figli?». Se anche voi come me siete ingenue e avete ammesso di avere un cuore e di non voler morire zitelle, potete ancora salvarvi in corner. Ma dovete avere la risposta pronta. Dite a bruciapelo qualcosa come: «Non ho l’utero/il mio partner è sterile/sono omosessuale/pratico l’astinenza prima del matrimonio». Che potrebbe anche essere vero, dopotutto; lui vi deve credere e se possibile si deve anche sentire un po’ una m***a per essersi impicciato degli affari delle vostre gonadi.

 

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Le domande assurde. Dopo il delicato step sulle relazioni, il colloquio sarà in discesa. Le domande possono essere le più svariate. Sbizzarritevi con le risposte, state per andare in scena nel teatro dell’assurdo. «Descriviti con tre parole»: la prima volta che mi hanno fatto questa domanda, mi sono venuti in mente i test per ragazzine sul Cioè. E ho risposto esattamente così: colorata, solare, emotiva. O anche principessa, generosa, sensibile. Insomma, aprite il Cioè e scegliete una triade. «Se fossi un animale quale saresti?». (a volte la frase inizia anche con «se saresti un animale». In quel caso siete autorizzate a tramutarvi in Godzilla). Niente animali regali o aggressivi. Dovete fare le commesse, dite qualcosa come un barboncino col fiocco, una pecora, un gatto grasso. «Cosa faresti se vincessi alla lotteria?». Lo so che spontaneamente vi verrebbe da dire «di certo non starei facendo questo colloquio», ma trattenetevi. Siate virtualmente generose, fate beneficenza, aiutate la nonnina, investite e continuate a lavorare. Siete commesse assennate (e senza utero. Candidate perfette). «Che meta per le vacanze mi consiglieresti?». Con questa vi vogliono trarre in inganno e farvi credere di essere tra amici. Se non avete particolari indizi sul fatto che il vostro interlocutore ami scalare le montagne o uccidere squali in Australia, dite semplicemente Canarie. Siate nelle media. «Se adesso da quella porta entrasse un pinguino col sombrero cosa mi diresti?». Faccia attenzione, è gravida! «Quante mucche ci sono in Italia?» Sì lo so, questa vi disorienta, ma vi assicuro che mi è stata fatta. Rispondete con una domanda e apparirete intelligenti e riflessive. Valgono anche quelle di peluche?

 

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Il domandone. Dopo una serie di domande che vi fanno seriamente dubitare sulla professionalità del selezionatore, arriva la mia domanda preferita, quella che di solito conclude tutti i colloqui e che secondo me è l’apice della profondità: «Mi dica perché vuole lavorare per noi». Quando mi rivolgono questa domanda sono sempre incredula. Perché mi serve uno stipendio. Punto e fine. È l’unico motivo per cui dopo una laurea in Lettere desidero fare la commessa. Sono certa che anche lui lo sa, in cuor suo, che non ve ne può fregare di meno della loro azienda. Indossate però la vostra migliore faccia “di tolla” e declamate: «Perché ammiro la vostra azienda da quando sono bambina». «Perché mia mamma e mia nonna erano commesse e voglio mantenere la tradizione». «Perché amo la gente». «Perché la domenica a casa mi annoio». Perché studiando Lettere ho capito che la mia vera vocazione è l’antropologia comica.

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