Il super boom del food delivery
Una volta c’era il rito sporadico della pizza a domicilio. Una telefonata e poi la lunga attesa. Con pizza spesso fattasi fredda. Oggi il rito è tutto meno che sporadico, e soprattutto il menu si è allargato in modo esponenziale. Sono cambiate anche le parole, perché il nuovo termine che definisce questo servizio è food delivery. In sostanza, da un’applicazione sul telefonino ordini quello che desideri, paghi con carta di credito, e aspetti il suono del campanello che arriva puntualissimo. La Coldiretti ha rivelato che sono ben 4,1 milioni gli italiani che abitudinariamente si fanno portare il cibo in casa con le nuove piattaforme che vanno da Just Eat, Foodora, Deliveroo ad Uber eats. A loro si aggiungono altri milioni di connazionali che invece usano il tradizionale mezzo del telefono: si chiama direttamente il punto vendita che ha la sua rete di fattorini.
In termini numerici. La nuove consuetudini, che hanno avuto un boom di crescita tra 2016 e 2017, stanno provocando altri fenomeni a catena. Il principale è certamente quello dei rider a cui è affidata la consegna a domicilio. Sono visibilissimi per le strade della città perché i singoli marchi hanno scelto divise e loghi iper riconoscibili, per pubblicità ma anche per garantire maggiore sicurezza. Girano la gran parte in bicicletta, per due motivi essenziali. Uno di marketing e l’altro di risparmio. Il marketing è quello delle piattaforme che vogliono far passare l’idea di un servizio a impatto zero, molto di prossimità e con contenuti salutistici. Nell’ultimo anno in Italia le ordinazioni a domicilio via app hanno registrato un incremento del 137 per cento, con un balzo del 123 per cento delle consegne del cosiddetto healthy food. Una vera e propria impennata della domanda, che nel concreto si traduce in più di 5mila chilogrammi di frutta tra macedonie, frullati e frutta mista e ben 18mila chili di insalate.
La lotta inutile dei rider. Il risparmio è quello dei rider che hanno margini bassi di guadagno, che è meglio non bruciare ulteriormente con spese di benzina. Proprio loro sono stati al centro di una controversia che li ha visti sconfitti: il tribunale di Torino ha infatti sentenziato che si tratta di lavoro autonomo e quindi sono illegittime le pretese di ritorno in servizio di sei di loro che nel 2016 si erano mobilitati per avere diverse condizioni di lavoro e che Foodora aveva in seguito “tagliato”. Ma questi si sa sono tempi duri per chi vuol avanzare diritti nei rapporti di lavoro... Il fatto di dover essere reperibile in caso di picchi di chiamate non è stato sufficiente a configurare un rapporto di dipendenza.
La prossima frontiera. Una delle carte vincenti del servizio è il fatto che l’utente può monitorare tutte le fasi della consegna. Sa quando ciò che ha ordinato esce dal ristorante, segue il rider nei suoi spostamenti e avvicinamenti. Nonostante la crescita esponenziale le piattaforme sono ancora lontane dal break even. Per questo è fondamentale comprimere i tempi di consegna. Ma il futuro è ancora più sofisticato: Uber Eats, ad esempio, punta a convincere i ristoranti a creare sigle apposite e differenziate per il food delivery, creando compagnie esclusivamente presenti su web e in forma di menu consultabile online.