Tante attività "da spiaggia" in alta quota. Ma la montagna non è il parco giochi dei cittadini
Beach volley, dj set, discese in downhill, corse di cento chilometri. Che c'azzecca con silenzi e rispetto dell'ambiente? L'alpinista Curnis: «Così non va bene»
di Paolo Aresi
“Spiagge e musica: è un’estate al mare, ma ad alta quota”: con questo titolo un quotidiano si riferiva ai prossimi mesi sulle Orobie. La montagna come il mare. Non i paesi di montagna, si badi bene: l’alta montagna. Non ci si riferisce alle feste che i paesi organizzano insieme ai villeggianti. No, ci si riferisce proprio a un modo di concepire l’alta montagna, i luoghi impervi, raggiungibili con le seggiovie o addirittura a punti più in alto; ci si riferisce ai rifugi, a luoghi dove arrivare magari con le biciclette elettriche o altri mezzi.
È il nuovo modello di montagna che viene avanti da qualche anno. Addirittura si parla di “Pora Beach” e al rifugio Gremei, a Piazzatorre, è stato organizzato il “Love Bike Park”. I nomi di questi punti non a caso sono in inglese. Una banalità? No. Il nome inglese sta a significare che queste iniziative non hanno nulla a che fare con la tradizione della nostra montagna. Niente a che vedere con l’economia, con la storia, con la civiltà della montagna.
«Pòta i è fò de có, i sà piö cóssa fà». Mario Curnis è un grande vecchio, l’alpinista di Nembro che ha scalato l’Everest a sessant’anni di età, che ha aperto vie impossibili, conquistato vette in tutto il mondo. Abita a Nembro, precisamente a San Vito, sulla strada per Selvino, in una baita con la moglie. Muratore di professione, vive per la montagna. Dice: «Leggo di tutte queste iniziative, le discoteche in montagna, le piste per scendere giù con le bici come dei ploc che rotolano a valle, le corse di cento chilometri fra le cime che nemmeno dormi... francamente, dal mio punto di vista sono cose sciocche. Mi sembra che la logica cittadina venga trasferita tra le rocce e non va bene. Non va bene se vuoi fare il mare sulla montagna, non va bene. Vai a Rimini a fare la discoteca. La montagna è altro».
Mario Curnis si rende conto che la montagna, soprattutto quella più marginale, periferica, continua a spopolarsi, che non ha un’economia su cui reggersi, ma ritiene che le soluzioni siano altre e che siano identitarie; dice che bisogna aiutare, sostenere le attività tradizionali, che siano agricole, artigianali, agrituristiche. Che bisogna pescare nell’eccellenza dei caratteri tipici, che sono i silenzi, i panorami, gli animali, la natura...
Racconta: «Io vivo qui a San Vito, ho questa casetta sul pendio, si arriva solo a piedi, soltanto dieci minuti, ma a piedi; ci tengo a questa dimensione di quiete. Ieri sono venuti a trovarmi quindici ragazzini con i loro accompagnatori, erano stupiti davanti alle capre, all’asino, ai fiori... Questa è la strada». Una strada che va aiutata, dice Curnis, con interventi decisi a livello politico.
«Ma è necessario creare nuovi sbocchi per la nostra economia - spiega Eleonora Busi di Moio de’ Calvi -, la montagna continua a spopolarsi e a invecchiare, la Valle Brembana fa tanta fatica ad affrontare il presente, come altre zone di montagna “marginale”, cioè lontana dalla città e dai centri di servizi. Si cercano soluzioni, si cerca nuova attrattività. Si pensa che il turismo “esperienziale” possa aiutare. Il ponte tibetano, il parco avventura, il concerto ad alta quota... sono tentativi di un turismo che accanto alle situazioni tradizionali pone la possibilità di fare nuove esperienze».
È un’esigenza più che comprensibile. Ma bisogna distinguere tra le iniziative che entrano in sintonia con i luoghi e quelle che stonano. La cultura della montagna, come l’economia, dal secondo dopoguerra si è infragilita. Ha subito sbandate che le hanno fatto male. Era successo negli anni Sessanta e Settanta: la tradizione venne presa d’assalto dai costruttori che disseminarono diversi paesi di case e casette. Il miraggio dei soldi convinse i montanari a vendere i prati. La marea di seconde case oggi è più un debito che una ricchezza per tanti Comuni. E diversi paesi hanno perso il loro fascino perché i centri storici sono stati sfigurati, trasformati, ristrutturati... Oggi assistiamo invece al fenomeno della trasformazione di parte della montagna in parco giochi a uso, soprattutto, dei cittadini che desiderano divertirsi o sfidare i propri limiti. Viene avanti il modello della montagna sportiva ed estrema e quello stile “Love bike park” (che poi è una pista di downhill). È la giusta strada dello sviluppo?