«Gh’è sö dóma di sbambossade»

10 frasi dei bergamaschi sui social

10 frasi dei bergamaschi sui social
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La vicenda di Cambridge Analytica e dei dati incautamente forniti da Zuckerberg ha riportato nei nostri bar e nelle nostre piazze il dibattito sui social media, penetrando la spessa corazza del conservatorismo orobico. I nostri concittadini mostrano una sorprendente dimestichezza con la tecnologia della condivisione. Anche perché, diciamolo, sono abituati da decenni al passaparola. Solo che lo chiamavano in modo diverso.

 

1) Tat ciòch, e pò i mèt in piassa töt

Osservazione che colpisce quelli che si indignano per ogni minima violazione della privacy, e pubblicano i dettagli più intimi e francamente inutili della propria vita privata. [Trad. Tanto rumore, e poi mettono in piazza tutto]

 

 

2) Chèl de l’oselì a l’tèca mia

Sarà perché l’oselì fa parte della nostra storia, anche gastronomica, ma un po’ ci dispiace che il più cinguettante dei social, tra l’altro così adatto alla nostra laconicità, non goda del successo sperato. Almeno da noi. [Trad. Quello dell'uccellino non attecchisce]

 

 

3) I te fa votà chèl ch’i gh’à òia

La nostra tendenza alla dietrologia si esalta quando scopriamo che qualche post ben studiato e ben piazzato basta per indirizzare legioni di votanti. Non nutriamo però alcun sospetto sul fatto di essere personalmente coinvolti in questa deprecabile tendenza. [Trad. Ti fanno votare quello che hanno voglia]

 

 

4) Gh’è sö dóma di sbambossade

Anche chi si alza alla mattina per subissare il prossimo di cuoricini, massime esistenziali e foto del proprio pranzo non è consapevole del proprio ruolo di protagonista nella confezione del nulla condiviso. [Trad. Ci sono solo delle stupidaggini]

 

 

5) I mame i dóvra ol Uossàp

Solo a evocarle si scatena il panico. Sono le famigerate chat delle mamme in WhatsApp, implacabili fustigatrici di costumi altrui, giustiziere di docenti in punta di tastiera e infine temibili avversarie della sintesi e, a volte, della logica. [Trad. Le mamme usano Whatsapp]

 

 

6) Féisbuch ghe l’ó ma l’dóvre mia

Clamorosa bugia dei cosiddetti lurker o, più familiarmente, spiù. Acquattati nell’ombra delle pagine, non lasciano commenti o reazioni, ma registrano con cura degna di miglior causa ogni pur minima vicenda altrui, meglio se negativa. [Trad. Facebook ce l'ho ma non lo uso]

 

 

7) L’è ü defà pò a’ chèl

Il nostro senso pratico alla fine si risveglia, e commuta prima in ore e poi in denaro il tempo che si spende compulsando freneticamente un display o una tastiera. Quando si tirano le somme, ci si rallegra del proprio analfabetismo tecnologico. [Trad. È un impegno anche quello]

 

 

8) Se l’föss de pagà i a dovrerèss piö nissü

Altra osservazione socioeconomica che sottolinea la nostra leggendaria parsimonia. In effetti, ogni minimo accenno a sistemi di pagamento dei social, anche palesemente falso, scatena una ribellione degna di miglior causa. [Trad. Se fosse a pagamento non lo userebbe più nessuno]

 

 

9) I è pié de reclàm pò a’ lur

Non ci vuol molto per accorgersi che i social non sono il paradiso incontaminato della comunicazione sociale, ma piuttosto un’arena commerciale con una competizione sempre più accesa. Sono come riviste online a pagamento. Solo che i contenuti li mettiamo noi, gratis. [Trad. Sono pieni di pubblicità anche loro]

 

 

10) I tèca béga e i se cognòss gnach

Per la nostra mentalità pratica la diatriba verbale presuppone, se non altro, la conoscenza. Qui invece ci si aggredisce allegramente anche tra sconosciuti, suscitando il nostro giustificato disappunto. Dietro la tastiera, non si può nemmeno assestare uno s-ciafù. [Trad. Litigano e non si conoscono neanche]

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