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Antichi acquedotti di Bergamo Vi stupirà scoprire dove si trovano

Antichi acquedotti di Bergamo Vi stupirà scoprire dove si trovano
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Testo: Tosca Rossi.
Foto: Mario Rota.

 

Quante fontane ci circondano in ogni angolo della città: monumentali, incassate al muro o nascoste dentro le volte di antiche cisterne, in forma di pozzo o anche di vedovella. Oggi per noi è normale aprire il rubinetto e vedere scorrere «chiare dolci e fresche acque»: è un gesto quasi automatico. Ma i nostri avi come facevano a rifornirsi di questa linfa vitale? Come la attingevano, da dove e soprattutto come facevano a intercettarla?

Per questo dobbiamo come sempre ringraziare l’ingegno della civiltà romana, che anche a Bergamo ha saputo captare molte sorgenti sui colli (le più note Boccola, Vagine, Lantro e Corno) e da qui impostare l’intera rete idrica della nostra città, fatta di tubature in mattone (reperibile in loco), piombo (della Valle Brembana) e marmo (in realtà calcare di Zandobbio): quest’ultimo materiale è sorprendente, ma basti pensare che un tratto risalente al I secolo è conservato in via Salvecchio (non cercatelo, è interrato e posto dentro un’abitazione privata!) e mostra nove setti in ghiera ad incastro, saldati con malta, che ancora riportano ognuno la sigla del costruttore e i numeri romani per rispettarne la sequenza. E chissà in quante altre abitazioni, cantine, angoli sarebbe possibile scovare qualche traccia di questo mondo sotterraneo che così tanto ci affascina, ricco di uschioli, soradori, purgadori, partitori e tanti altri elementi dalla nomenclatura così tecnica, ma tanto alternativa da parere uno scioglilingua (traduciamo: uschiolo sta per portello per le ispezioni, soradoro è sinonimo di sfiatatoio per il ricambio d’aria, purgadore è una sorta di draga e partitore, beh, questo è abbastanza chiaro).

 

Acquedotto di Castagneta

Castagneta 03

Castagneta 11 Uschiolo aperto ma interrato

Due erano gli acquedotti di epoca romana che servivano la città e che ne alimentavano altri, poi diramati nell’abitato città grazie ai partitori: il primo, detto di Castagneta (o Saliente o dei Vasi, dato che correva interrato e coperto da lastroni di pietra - mt 3544 dislivello di 70 mt), proveniva dal monte Bastia dove era alimentato da cinque sorgenti le cui acque venivano fatte decantare nei purgadori, passava per la località di Castagneta e si congiungeva a quello di Sudorno grazie ad una cisterna posta all’altezza della Porta S. Alessandro, dando origine all’acquedotto Magistrale, grazie a cui penetrava in città per servire i pozzi pubblici e privati.

 

Acquedotto di Sudorno

Sudorno 02

Sudorno 03

L’altro, detto di Sudorno (o anche S. Gottardo  - mt 2245 dislivello di 58 mt), nasceva dal colle di S. Vigilio (sorgente dell’Acqua Morta), passava per il monastero di S. Gottardo e oltrepassava le mura non appena lasciato il Borgo Canale all’altezza dell’attuale Largo Porta S. Alessandro. Ecco perché il più antico Borgo di Bergamo è chiamato Canale, proprio per il transito delle acque e lo sapeva bene il povero Donizetti (1797-1848), che per anni con la famiglia visse «sottoterra, dove gufo fu il mio destino», in ambienti freddi e umidi, disposti direttamente a contatto dei millenari corsi d’acqua.

 

Acquedotto Baglioni

Baglioni 01

Lapide Gallina 01

Un altro di cui si è persa memoria, e di epoca successiva a quelli romani, è quello Baglioni (o di Prato Baglioni attuale Colle Aperto) dal nome della proprietà sotto cui scorreva, che lungo via Boccola e la Fara raggiungeva la bella fontana del Delfino in Via Pignolo. Per la ramificazione interna dell’abitato e dei borghi venivano utilizzati i tre partitori (colle del Seminario - Piazza Duomo o Vescovado -  Piazza Mercato del Lino, attuale Reginaldo Giuliani già Mercato del Pesce), da cui, come tentacoli, iniziavano la loro corsa una maglia capillare di canali: 14 e più le fontane approvvigionate nel Medioevo oltre al deposito precauzionale in 4 pozzi o cisterne (Piazza Nuova, Via Mario Lupo, Fontanone in Piazza Reginaldo Giuliani, Piazza Mercato delle Scarpe).

Ad oggi risultano poche manutenzioni su queste antiche condutture in uso fino all’Ottocento: la più nota è ricordata da una lapide trecentesca ancora oggi posta miracolosamente in località Gallina, in Castagneta, vicino la chiesa di San Rocco. Al di là di tutto, le vere protagoniste nei secoli della nostra storia - quelle che hanno garantito il dissetamento dei nostri avi, l’abbeveramento dei loro animali, la concia delle pelli e i più svariati usi domestici - sono state le quattro grandi sorgenti, che ancora oggi possiamo individuare sia visivamente che riconoscere nella toponomastica cittadina.

 

Sorgente del Vagine

Vagine 01

Vagine 02

L’antica Fons Opacinus, cioè fonte di tramontana (rivolta a nord ovest), poi Vasine per il buon auspicio che poteva offrire al grembo materno: pare infatti che le donne sterili o le novelle spose, come anche le puerpere, vi si immergessero per propiziare la fertilità e la salute loro e della futura prole; una prole però non sempre felice di tastarne la limpidezza, dato che secondo alcuni storici, all’epoca degli antichi Romani l’usanza prevedeva che i nascituri maschi vi venissero immersi per qualche secondo e se una volta risaliti non si avvertiva un loro vagito (da cui Vagine), allora significava che la natura aveva provveduto ad una preventiva selezione, visto che bimbi deboli non erano ben accetti in una società militare, con un esercito, quale era quello dell’Impero, che necessitava solo di guerrieri forti e vigorosi, che potessero potenziare le ciclopiche legioni. I vari statuti cittadini si sono rincorsi uno con l’altro nei secoli per garantire la custodia, non solo per la purezza dell’acqua, ma anche per la preziosità del suo manufatto: soffitto a volta, vasca pavimenti e scale in marmo e dotata di 4 secchi in rame, così da travasare l’acqua nei contenitori di chi se ne approvvigionava e garantirne la genuinità.

 

Sorgente della Boccola

Boccola 01

Boccola 02

Localizzata sotto la chiesa di S. Matteo (quella vicino al Seminarino) presso l’ultimo rimasuglio di una torre medioevale, pare raccogliesse anche l’acqua di sopravanzo del Vagine: infatti, quando questa fonte veniva pulita la sua acqua ne usciva intorpidita. Il nome deriva dall’apertura da cui sgorgava (bocca) ed è curiosa un’ordinanza comunale cinquecentesca, in cui si intimava alle donne di malaffare di trattenersi nei pressi per il solo tempo necessario ad attingere  l’acqua, pena fustigazione berlina o carcere. Chissà mai cosa abbiano combinato in passato per meritare tale monito.

 

Sorgente del Lantro

Lantro 01

Lantro 02 Chiesa San Lorenzo

È la fontana aperta in estate durante le domeniche della Bergamo sotterranea (con le due cannoniere), il cui nome rimanda o all’antro da cui sgorgava l’acqua o al fatto che il suo getto era talmente spumeggiante da apparire bianco come il latte (Lactis Antro). Nei secoli si è trasformata in un abbeveratoio per animali e in una serie di lavelli pubblici per lavare i panni, finchè le Nottole nel 1992 non l’hanno recuperata e riaperta al pubblico tramite il Comune.

 

Sorgente del Corno

Corno alla Fara

Pare sia la sorgente più antica della città, ma che la sua attuale struttura risalga ai primi decenni del XIII secolo. Da Fons De Cornu diviene Fons de Peogis (fontana dei pidocchi) alludendo forse alla miseria e alla povertà delle abitazioni che le sorgevano attorno, in un luogo ombroso umido e malsano esposto interamente a settentrione.

 

E un piccolo gioco...

Epigrafe in Località Gallina.
Foto 1 di 4

Epigrafe in Località Gallina.

Epigrafe al Fontanone.
Foto 2 di 4

Epigrafe al Fontanone.

Epigrafe al Fontanone.
Foto 3 di 4

Epigrafe al Fontanone.

Epigrafe al Fontanone.
Foto 4 di 4

Epigrafe al Fontanone.

Ma noi potremmo tentare di rintracciare il corso sotterraneo dal nostro attuale livello di calpestio o dobbiamo servirci di raggi X? No, non è necessario! Oltre ai palinsesti culturali estivi che la nostra città ci offre e ad alcune golose e purtroppo sporadiche occasioni di scendere all’interno di queste viscere sotterranee, basterà trasformarsi in proverbiali segugi e cercare le sigle A o AQ di “acquedotto” disseminate sui muri della città e dei colli o anche sui cippi di pietra: è in questo modo che i fontanari, incaricati di pulire e manutenere le condotte, controllavano una rete idrica che si estendeva per quasi 6 chilometri attraverso boschi e alzati urbani. Ma vi aiutiamo: provate in Via Sudorno, in Via San Vigilio, in Via Castagneta, in Via Ramera, in Via Vasi e, forse il più facile, in Piazza Reginaldo Giuliani nel muro del Fontanone Visconteo tra lo scalone di accesso all’ex Ateneo e quello che lambisce la basilica, proprio vicino ad una porticina, che forse era un antico uschiolo!

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