Avere la meglio a tutti i costi non conta: ognuno deve fare "con onùr la so partida"
È quello che ci hanno sempre insegnato i nostri vecchi: comportarci sempre in modo onorevole vale molto di più delle ricchezze materiali. Sportività del dialetto bergamasco
In tempo di ferie, può essere utile e divertente fare una scampagnata attraverso antiche iscrizioni popolari che ben raccontano il nostro carattere. Ne elenca alcune, molto gustose, Luigi Volpi nel suo “Usi costumi e tradizioni bergamasche”, edito nel 1958 da Il Conventino.
La prima scritta appare, o appariva, su un’edicola, collocata in un viottolo che porta da Caprino a Celana: Trìghet lé o vilàn de móna, e dìga sö ön’Ave Maria a la Madóna. Chiarito che il desueto trigà significa fermarsi, colpisce il manifestarsi contemporaneo della devozione mariana e di un curioso modo per indurre a manifestarla, che definire rustico sarebbe riduttivo. D’altronde siamo così, un po’ ruvidi, ma buoni d’animo e più riflessivi di quel che sembra.
Lo dimostrano le rime vergate su una lapide accanto al campo di bocce di Bortolo Belotti, dove la nostra vita è descritta come se fosse una partita. È decisivo tenere il pallino del gioco, ma se l’iscapa, l’è miga öna resù de pèrd la crapa. C’è da prendere con filosofia i ròbe de sto mónd, perché non conta arrivare primi o secondi ma quèl che l’impòrta quando l’è finida, l’è de ì fàcc con onùr la so partida.
Ed è quello che ci hanno sempre insegnato i nostri vecchi: comportarci sempre in modo onorevole vale molto di più delle ricchezze materiali. Non è una sorpresa invece il nostro amore per il vino, testimoniato dalle parole sull’uscio di una grande cantina della casa Locatelli-Milesi di Villa d’Almè: Chi de sto ì al gösta ol bù saùr, a l’ghe duna la mancia al donadùr.
Nella stesa dimora, un motto sopra il segna punti nel campo di bocce recita: In de éta, robà l’èü bröt laùr, però l’è concedìt al zögadùr. La frase rivela un ’insospettabile elasticità etica, dichiarata con divertita ironia.
Per finire, ma sarebbe un inizio, i visitatori vengono accolti, sempre nello stesso luogo, da una testa di Gioppino che declama: Mé só alégher e contét, e ghe dìghe a chi è de dét: Ben vegnida, buna zét! E poi dicono che non siamo ospitali.