Lettera alla città

«Cara Bergamo, ti sei lacerata senza fare rumore. E io scrivo per chiederti scusa»

Alessia, di Pumenengo, ci ha inviato un bellissimo scritto dedicato alla nostra città. Ma, precisa, non è uno scritto amoroso. O meglio, non solo

«Cara Bergamo, ti sei lacerata senza fare rumore. E io scrivo per chiederti scusa»
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Foto in copertina di Cristina Samotti

Non è la prima volta che succede, ma la commozione è sempre la stessa. È capitato spesso, in queste settimane, di aver ricevuto mail in cui lettrici o lettori dedicavano pensieri ed emozioni a Bergamo. Una città-famiglia, per certi versi. Perché relativamente piccola, perché bella e accogliente, perché legata a tradizioni e ricordi. A loro modo, le lettere ricevute tornavano sempre lì: alla sua bellezza e alla sua "dolcezza" nascosta dietro un velo di apparente freddezza. Quella che pubblichiamo oggi, però, è un filo diversa. L'ha scritta Alessia, di Pumenengo. E, oltre che bellissima, è una lettera in cui vuole chiedere scusa, a Bergamo. Leggetela, merita.

Cara Bergamo ti scrivo,

E inizio con una citazione di Silvia Sagona, «fiorire d'inverno a primavera», per dirti che non avrei mai immaginato che un giorno o l’altro mi saresti mancata. Perché io, in fondo, ti respiro da sempre. L’aria di provincia è impregnata anche di te, sai? Non ci ho mai fatto troppo caso alle tue mani, a come sai essere bella, senza scomporti troppo, anche durante i periodi più difficili. Ti nascondi dietro gli occhi ancora più nascosti di chi passa le sue giornate a tenerti in piedi, proprio quando agli occhi della gente fuori, ma non della tua - di gente -, pareva stessi crollando. E invece no.

Cara Bergamo, ti scrivo e non è affatto una lettera d’amore, ma piuttosto una pagina dedicata a “chiederti scusa”. Per non essermi mai accorta di quanta bellezza hai tra le tue vie, tra le tue strade e le Mura che, ancora oggi, reggono e ti tengono stretta stretta. E di quanto questa tua beltà ti sia stata cucita addosso, e rammendata negli anni, senza toglierti neppure un briciolo di forza. Non sei mai invecchiata, nonostante ci racconti di generazioni che t’hanno vista in tempi di guerra, fame e malattie. Sei sempre rimasta lì, tra i tramonti di fine estate e la nebbia che ti oscurava le prime luci dell’alba.

Al mondo, quello fuori, poteva fare paura, ma noi sappiamo che quel velo, a volte troppo spesso, scende solo per abbracciarti un po’ di più. Ti copriva gli occhi la nebbia, nel pieno inverno di quest’anno e tra l’odore delle castagne di questo autunno. La nebbia ti ha fatto da scudo, quasi a volerti tenere lontano dal buio che ti attendeva allo sbocciare dei primi fiori di pesco. Ma tu eri ancora lì. Sei rimasta nonostante l’abito stracciato, le macerie sul cuore, i ricordi in frantumi e le lacrime che hai pianto con compostezza e dignità.

Mentre l’Italia cantava sui balconi, tu accendevi lumini per guidare carri armati senza armi ma ricchi di cuori che hanno smesso di battere solo a metà. Li hai scortati nel silenzio di una guerra muta senza precedenti, lacerandoti senza fare troppo rumore. Eri lì di nuovo, e ancora un po’ di più. Forte guerriera ammaccata, con i lividi ben visibili sulla pelle e lo sguardo carico di una paura che non hai mostrato neppure a te stessa. Ti sei concessa di piangere, e se vuoi lo potrai fare ancora, ti offrirò la mia spalla, e la mia mano, adesso.

Solo adesso che ho capito che non sono mai stata pronta davvero alla vita fino a che la mia terra non mi ha sbattuto in faccia quanto faccia male la morte. Una morte senza abbracci, senza qualcuno che ti rassicura o ti accarezza la guancia e ti ripete: «Andrà tutto bene». Sei rimasta in piedi. Sorretta anche dagli sguardi dei bambini, dai loro arcobaleni imperfetti, fatti di colori che hai visto germogliare sui loro balconi a poco a poco. Ci hai creduto. E continui a crederci.

Sei bella Bergamo. Sul tuo stemma porti i colori del sol e quello del sangue. A ricordati che sai guardare la luce più potente dritta in faccia, anche quando il sangue ti chiede pegno. Nella storia sei legata a un nome che a me ha salvato la vita: Alessandro. Alessandro è un bambino, tra cielo e mare. Aveva la tua stessa tenacia e due occhi grandi color ebano dove ci potevi trovare persino la magia delle stelle, la tenerezza di casa e una felicità ritrovata. Cara Bergamo, somigli tutta a questa immensa magia, e io non sono ancora riuscita ad accorgermene del tutto. Perché non ti posso ancora abbracciare come meriti. E ti giuro che, quando sarà, non sarà un abbraccio di quelli scontati, di quelli che non sanno di caffè e cioccolata. Lo farò con la stessa voglia di chi aspetta Natale e la neve nei primi giorni di Dicembre. Tornerò ad abbracciarti perché somigli a tutti quei sorrisi colmi d’innocenza e di allegria, di chi ti tiene per mano semplicemente per il gusto di farlo.

Cara Bergamo, tornerai a splendere, come la rugiada di prima mattina illuminata dai primi raggi della giornata tra i campi che germogliano, sulle strade della tua provincia. Risentirai le risate degli studenti al Ginnasio Paolo Sarpi, tra i portici dell’università in Città Alta, e rivedrai gli occhi colmi di incanto dei turisti che salgono sulla funicolare per la prima volta. Tornerai a udire i cori e le urla dei tuoi tifosi allo stadio e poi rivedrai il mio sguardo divertito e sarcastico che tenta di raccontare in modo del tutto originale tutto quello che sei e tutto ciò che ancora non so e che dovrai raccontarmi mentre tengo la mano all'uomo che già una volta mi ha detto: «Ti porto in Città Alta». E suonava già come una bella promessa d’amore. Mi piacerebbe tanto potergli sussurrare: «Sai, questa è casa mia e probabilmente tu sei bello come lei» mentre il Sole tramonta sulle Mura e la Luna fa capolino dietro le guglie della Basilica di Santa Maria Maggiore.

Tornerai, anche se ci saranno altri mille e mille giorni di pioggia, ma nessuno ti negherà la poesia finché ci saranno ancora i baci sotto l’ombrello in Piazza Vecchia. Tornerai tu, Bergamo, e tornerò anche io. Tornerò e magari all'inizio mi verrà pure un po’ da piangere, ma ti faccio ancora una promessa: sarò forte come lo sei stata tu. Come oggi, ieri e un po’ tutto questo ultimo periodo, dove tutto sembra vada a male e invece è proprio dalla fine che si trova il coraggio di ricominciare. Forza Bergamo, torneremo a rifiorire, come i papaveri in riva al fosso e i tulipani colorati di questa stagione. «Sei bella come casa mia», e mi ci sono voluti i Pinguini Tattici Nucleari per ricordarmelo e il Covid-19 per avere il coraggio di dirtelo. Spero solo che un giorno mi perdonerai.

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