De Maos Dadas a Parintins

Cinque casette nel nord del Brasile Un centro per ragazzi nato a Curno

Cinque casette nel nord del Brasile Un centro per ragazzi nato a Curno
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Parintins, Mocambo, Brasile. Cinque casette in un prato, una biblioteca e un salone di accoglienza: luoghi che quotidianamente vengono popolati da centotrenta ragazzi, per i quali il centro educativo De Maos Dadas (Mano nella mano) è una vera e propria seconda casa. I ragazzi, che vivono in condizioni economiche e famigliari disagiate, nel centro trovano una scuola di vita: le attività pratiche, tecniche e di gioco, si affiancano a momenti di riflessione, lettura e ascolto. Ci sono delle regole, ci si abitua alla convivenza e si impara necessariamente a rispettare le differenze. Gli educatori, attualmente dodici, affiancano i ragazzi e organizzano le attività, che sono moltissime: uncinetto, taglio e cucito, pittura, intaglio del legno, traforo, lavori con argilla e materiali di recupero, tessitura della paglia e attività culinarie. Attività finalizzate all’acquisizione di abilità che possano fornire ai ragazzi un futuro lavoro.

 

 

La prima volta in Brasile. Il centro De Maos Dadas è una casa che ha le sue fondamenta qui vicino a noi, a migliaia di chilometri di distanza dal Brasile: è il paese di Curno a ospitarne le ideatrici. Marina Alborghetti e Catia Battaglia approdano in Brasile la prima volta nel 1992, dopo altre esperienze nel campo umanitario: «Durante una breve esperienza in Africa, un missionario ci ha posto la domanda “Perché non partire per un periodo più lungo?” e noi abbiamo risposto “Perché no?”», racconta Marina. Il motivo? «Ci spingeva un forte senso di responsabilità per quei fratelli lontani che non avevano avuto le nostre stesse opportunità. Era forte il desiderio di condividere un pezzo della nostra vita con loro e di testimoniare concretamente la nostra fede».

Una richiesta d'aiuto. La prima esperienza in Brasile dura tre anni e si svolge a S. João Batista, un piccolo villaggio nella diocesi di Parintins. La povertà è evidente ed è preoccupante la condizione di vita di bambini e ragazzi, spesso destinati alla strada, con alti rischi di essere coinvolti in giri di alcol, droga e prostituzione. Marina e Catia qui costituiscono una speranza: le mamme della zona chiedono loro di realizzare un posto sicuro per i propri figli. «La richiesta veniva rivolta proprio a noi: ci siamo sentite interpellate in prima persona; non c’erano altri organismi che avrebbero risposto, nessun altro avrebbe accolto l’appello delle famiglie. Tornando a casa ne abbiamo parlato con i nostri amici: loro non potevano partire ma, se noi lo avessimo fatto, ci avrebbero sostenuto. Così siamo tornate di nuovo in Brasile».

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Il progetto e i sostenitori. La rete di amici, familiari e parrocchiani ha permesso loro di realizzare il progetto per il centro De Maos Dadas, in modi e tempi diversi: dalle prime raccolte fondi tra stretti conoscenti alla fondazione, nel 2007, di una vera e propria associazione. Gli affezionati sono aumentati di anno in anno, permettendo il continuo finanziamento del progetto tramite pranzi solidali e acquisto di oggetti prodotti da volontari dell’associazione.

Le lettere degli educatori. I contatti Brasile-Italia sono frequenti: una serie di documenti, titolati Amazonia chiama Italia (che si possono leggere qui) riporta le testimonianze degli educatori del centro. Da queste lettere, soprattutto dalle più recenti, si può leggere la preoccupazione continua per la situazione di precarietà economica. Nonostante la decisione delle istituzioni locali di sostenere economicamente il centro, a fine 2015 gli educatori scrivono: «C’è stato un vero e proprio licenziamento di massa che ha coinvolto non solo il Centro De Maos Dadas ma tutti i funzionari in diversi settori, assunti dal comune a tempo determinato. Grazie all’intervento della Diocesi il sindaco ha riassunto noi educatori fino alla fine di dicembre, mentre gli altri funzionari sono rimasti a casa». Attualmente la situazione sembra essersi stabilizzata. La paura è comunque che un qualsiasi cambiamento politico possa stravolgere la vita del centro. Fortunatamente i ragazzi accolti sanno come ridimensionare le preoccupazioni: «Il loro entusiasmo, la loro voglia di stare al centro, di incontrarsi e di incontrarci, di giocare, di cantare, di ridere, di imparare insieme, sono sempre stati un toccasana per andare avanti», scrive un educatore.

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L'autonomia del centro. Marina e Catia attualmente vivono a Bergamo; sono passati venticinque anni dal loro primo approdo in Brasile e i risultati ottenuto sono sorprendenti. Il centro è ormai autonomo, gestito esclusivamente da persone locali e sostenuto finanziariamente, salvo imprevisti, dal Comune e dalla Diocesi. L’autonomia è certamente il più grande risultato: «Ripensando a tutte le difficoltà che abbiamo incontrato non avremmo mai immaginato che il centro potesse vivere fino ad oggi, soprattutto gestito da persone del posto che inizialmente non avevano fiducia in se stesse e non si ritenevano capaci perché non italiane. Vederle lottare per il bene comune e per i loro ragazzi è una soddisfazione».

Tale autonomia organizzativa e finanziaria combinata ad una recente carenza di forze all’interno dell’Associazione italiana comporterà nei prossimi mesi la chiusura dell’Associazione. Un passo certamente difficile, soprattutto per le fondatrici, ma accompagnato dalla consapevolezza di aver migliorato un pezzo di mondo con una realtà che continuerà ad esistere. Dopotutto Marina e Catia sono certe di aver vissuto «un piccolo miracolo», possibile soltanto grazie alle persone che sin dall’inizio hanno sostenuto il progetto: «Quando eravamo in Brasile non lo facevamo solo a titolo personale, eravamo là anche a nome di “altri”; questo è stato un importante punto di forza».

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