Alà, cór!

Correre fa bene all’umore (anche alle 6 e 20). Lo fa pure il vicesindaco

Marco Oldrati esce tre volte alla settimana con l’amico Sergio Gandi. Obiettivo? Nessuno. Solo un po’ di felicità in più

Correre fa bene all’umore (anche alle 6 e 20). Lo fa pure il vicesindaco
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di Marco Oldrati

 

Sei e venti? Ok, sei e venti.

Ormai è qualche mese che insistiamo, pervicaci… non ci ha fermato la pioggia a novembre e le gelate di inizio anno non ci hanno messo paura, per cui ormai siamo dei veri runner. O forse no, perché in realtà andiamo piano, senza ambizioni superiori a quelle di prendere un po’ d’aria e buttare giù un po’ di pancia.

Il mio compagno di viaggio è Sergio, sì, Sergio Gandi, il vicesindaco di Bergamo. E la cosa strana è che incontriamo prevalentemente persone che portano fuori il cane, per cui ci siamo domandati – visto che siamo l’unica coppia di esseri umani che circola a quell’ora – se in realtà anche noi stiamo portando fuori il cane, ma poi abbiamo litigato amichevolmente perché nessuno dei due voleva fare la parte del cane.

Perché corriamo alle sei del mattino? Perché è l’unica ora in cui riusciamo a far coincidere un momento di libertà da impegni lavorativi o familiari nella giornata (ufficialmente) o forse perché siamo talmente scoppiati che è meglio che non ci veda nessuno, faremmo una pessima figura…

Oppure no: anzi, di sicuro no. Perché quando corri non gareggi, corri. Respiri, fatichi, acceleri, ansimi, avverti i dolori e il calore dei muscoli, la sete o il freddo, ma la gara, in realtà, non c’è. Per di più chi corre saluta tutte le altre persone che corrono, come se ci fosse un patto di solidarietà, una cittadinanza comune fra persone con le scarpe da ginnastica. Con le scarpe da ginnastica, però, non con le sneakers, capito? Altrimenti corri il rischio di farti male.

Quando abbiamo cominciato camminavamo in salita e correvamo in discesa, adesso stiamo corricchiando per sei o sette chilometri due o tre volte la settimana. Obiettivo? Nessuno, in realtà. Quello di cominciare la giornata in un modo naturale, facendo una cosa senza senso, senza scopo, senza metodo, ma con tutta quella carica umana e fisica che possiede il fatto di condividere uno sforzo con qualcuno.

Come corriamo? Piano, corriamo piano. Qualche volta proviamo a capire se ci abbiamo messo di meno della corsa precedente, ma non ci diamo troppa pena per le “prestazioni”. Certo, qualche volta incrociamo dei “figli del vento” che vanno a ritmi doppi rispetto a noi, ma ci accontentiamo di riuscire a chiacchierare e sparare qualche stupidaggine. Di pedoni non ne vediamo molti, appunto gente che va a scuola, qualche bar che apre, un paio di panetterie che consegnano le brioches, la città che si sveglia (o che sta ancora dormendo) e noi che la guardiamo e partecipiamo allo stiracchiamento e agli sbadigli di chi va al lavoro o aspetta l’au - tobus intabarrato fra sciarpa, berretto, cappotto e guanti.

Quando l’ho raccontato al Direttore mi ha detto “Ma a voi non piace dormire?”, e dentro di me ho pensato che a me piace dormire, ma quaranta minuti di corsa con un amico sono uno stabilizzatore dell’umore che non è ancora stato brevettato da nessuna azienda farmaceutica. Vi sembrerà una specie di alibi, ma io sto meglio quando ho corso. Sono più “buono”, una persona più piacevole. Torno a casa con la sensazione che la giornata è iniziata bene, che ho visto il sole sorgere, che ho sentito il sapore del caffè e che il mio corpo non è appallottolato come un foglio di carta nel cestino, ma è disteso, come stirato e liscio.

E se non vi bastano le sensazioni, ci sono i riti che aiutano a farne una piacevole abitudine, quelli scaramantici e quelli celebrativi, tutti in qualche modo parte della sceneggiatura. La corsa inizia sempre con una frase di Sergio, «Oggi sono meno in forma del solito», e quando non la dice io mi preoccupo. Ma c’è anche di più, c’è il quantitativo di parole che diminuisce in maniera proporzionale al crescere dei minuti di corsa, c’è il momento in cui tentiamo di allungare il passo e sembriamo due locomotive a vapore pronte per la rottamazione, c’è il caffè alla fine, sempre nello stesso bar dove il barista, una persona davvero gentile, una volta ci ha detto che eravamo dei veri sportivi a correre con quel freddo. Il freddo c’era, ma noi, più che sportivi, ci sentiamo semplicemente in pace con noi stessi.

Non c’è nessun motivo per fare quello che facciamo, ma se non lo facessimo ci mancherebbe un po’ di felicità.

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