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Su cosa investigano i detective che lavorano nella Bergamasca

Su cosa investigano i detective che lavorano nella Bergamasca
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La moglie che fa seguire il marito, scopre le sue relazioni extraconiugali e chiede immediatamente il divorzio, sicura di ottenere grandi vantaggi, economici e non solo, in sede giudiziaria. Non è solo un cliché da commedia italiana di qualche lustro fa. Le investigazioni private sono infatti un tassello fondamentale nel ginepraio delle questioni legali del Belpaese, notoriamente stracolmo di avvocati e sempre ingolfato di processi. E i bergamaschi non sono di certo degli sprovveduti quando si tratta di far valere le proprie ragioni, anche e soprattutto in tribunale. Da 70 anni gli orobici (ma anche i bresciani e molti altri, vedi oltre) si affidano ai servizi dell’agenzia di Investigazioni San Giorgio, che vanta esperienza sia in indagini per privati sia in quelle per aziende. Li abbiamo incontrati per farci raccontare da una parte gli aspetti seri, anzi serissimi, del loro mestiere, e anche forieri di gravi conseguenze; dall’altra per esplorare un po’ la dimensione più affascinante, esotica e “da film” di un così complesso e mai scontato ambito lavorativo. E anche per sapere quali sono gli oggetti d’indagine più gettonati dai bergamaschi, su cosa si impuntano i nostri concittadini.

 

 

70 anni di indagini. Ad accoglierci c’erano Luigia Barbieri, titolare della società e della licenza, e Luca Ceci, socio e responsabile operativo. Siamo partiti dall’inizio, ovvero dal 1946: «L’agenzia nasce da una grande intuizione di mio padre, Ceci Mario, che pensò di istituire una polizia privata come supporto non istituzionale laddove ce ne fosse stato bisogno – ha esordito Luca Ceci –. Il crescendo dell’attività è stato costante, senza grossi strappi, e legato alle necessità in aumento della società civile». La San Giorgio investigazioni si è quindi polarizzata intorno a due macro categorie: quella del privato e quella delle aziende, in un rapporto sostanzialmente 50 e 50. «In entrambi i casi lavoriamo a tutela di interessi violati, da far poi valere in ambito giudiziario: facciamo il lavoro “sporco” (in realtà pulitissimo) e poi diamo le prove agli avvocati, che possono utilizzarle regolarmente in sede giudiziaria», ha proseguito Ceci. Queste prove spesso abbreviano di molto gli iter giudiziari e garantiscono notevoli riscontri positivi per i clienti.

La struttura, i limiti, la formazione. L’agenzia vede da una parte tutta una struttura amministrativa e dall’altra un gruppo di operatori specializzati, costantemente sul campo, sotto il controllo di un referente. Le cose non sono semplici; per produrre una perizia di parte con documentazione video o fotografica bisogna muoversi con cautela e conoscere i limiti della legge, nonché avere le varie autorizzazioni del caso. La privacy è un tasto delicatissimo: gli investigatori della San Giorgio possono accedere ad alcuni dati sensibili solo a fini giuridici, ma ci sono alcuni campi che sono quasi inviolabili. Ad esempio le intercettazioni telefoniche o i referti medici sono accessibili solo previa autorizzazione del magistrato, «ma sono casi rarissimi».

 

 

Per arrivare a svolgere questo mestiere la gavetta è decisamente lunga, e può anche non risultare sufficiente. Ci sono scuole e seminari per imparare, sia la gestione sia l’investigazione. Per aprire un’agenzia in proprio serve una laurea in materie compatibili (Giurisprudenza, Economia o la recente Scienze investigative) e poi un tirocinio di almeno 3 anni. Senza contare i prerequisiti tecnico-morali: nessun elemento pregiudizievole e ovviamente nessun precedente penale. Per collaborare invece basta un corso para-universitario; ma un conto è provare, un altro è diventare un investigatore capace: «Servono competenza, preparazione, ma soprattutto intuito, perché non c’è mai una via indicata a priori per affrontare un caso, ognuno fa storia a sé», ha sottolineato Luca Ceci.

I viaggi, gli appostamenti, i casi strani. Il figlio del fondatore ha seguito fin da giovane le orme del padre. Il suo lavoro l’ha portato a girare l’Europa in lungo e in largo, ma ha viaggiato spesso anche in Asia e in Sud America: «Lavoriamo principalmente per clienti della Lombardia o del nord Italia, ma ne abbiamo avuti diversi anche di altre zone del Paese. Poi per le indagini si viaggia moltissimo, la globalizzazione ha abbattuto molte barriere, sia per i privati sia per le aziende. In ogni luogo che frequento cerco di sviluppare le giuste sinergie e collaborazioni, altrimenti il mio lavoro sarebbe quasi impossibile».

 

 

Ma non sono solamente i viaggi a rappresentare una difficoltà: spesso bisogna avere grande pazienza e tenacia, ad esempio nel battere a palmo a palmo un territorio magari molto vasto alla ricerca di una persona scomparsa. «Una volta un ragazzo invece di laurearsi scappò all’estero – racconta Luigia Barbieri –. Individuata grosso modo la zona in cui si era spostato, grazie a carte di credito e prenotazioni di voli, abbiamo dovuto setacciare una vasta area rurale. Solo dopo molto tempo, grazie anche a segnalazioni, abbiamo trovato il luogo in cui si era ritirato il giovane: si era dato alla cura dei giardini e viveva in quasi completa solitudine. Per trovarlo ci sono voluti molti appostamenti e peregrinazioni. Alla fine si è ricongiunto con la sua famiglia, che l’ha supportato nel portare avanti la sua passione per il verde».

Ma i casi particolari sono innumerevoli: diversi privati chiamano gli investigatori per far trovare il loro animale domestico: «Ci è anche capitato un cane rubato dal proprietario di un bar per fare un dispetto al locale concorrente, più frequentato – continua la titolare –. Il ladro, vista la forte pressione della popolazione locale e gli innumerevoli manifesti affissi dagli investigatori, ha poi pensato di disfarsi dell’animale gettandolo in un pozzo, ma un contadino di quei paraggi ha sentito i latrati ed ha subito capito che era proprio quel cane».

 

 

Tradimenti, figli da controllare, scorrettezze tra aziende. Ma quali sono in fin dei conti gli ambiti più frequentati in bergamasca quando si tratta di investigazioni? Come da aspettative, le beghe tra coniugi in crisi sono all’ordine del giorno o quasi: «Questo tipo di indagini ci viene richiesto in due circostanze diverse: durante un divorzio, quando si vogliono scoprire tutte le malefatte (tradimenti, ma anche comportamenti non consoni in generale) dell’altro coniuge per ottenere il più possibile dal giudice. Oppure semplicemente perché la moglie o il marito sospetta dell’altro/a e vuole capire se le sue supposizioni sono fondate o meno e nel caso far partire il divorzio. Ma il rapporto tra le due casistiche è 80 a 20 percento, forse 70 a 30». Insomma, le scappatelle sono importanti ed esecrabili soprattutto in sede processuale, non tanto per una questione morale.

Un altro tipo di caso privato in forte aumento riguarda quei genitori che vogliono far controllare i figli minori, sia per verificare le loro abitudini in fatto di droghe e alcol, sia per scongiurare possibili fatti spiacevoli come lo stalking da parte di adulti, le molestie, i ricatti e tutti quei fenomeni tipici dei bullismo. «Indaghiamo molto sulla vita virtuale dei ragazzi, perché poi spesso le minacce passano dal virtuale al reale – spiega Luca Ceci –. Una ragazza ha avuto una storia di tre mesi con un individuo che credeva suo coetaneo, ma era in realtà un signore di 60 anni con famiglia e due figli, che voleva rivendere le sue foto e i suoi video osé a piattaforme web. Per controllare meglio i minorenni spesso accediamo ai loro profili social, grazie all’autorizzazione dei genitori che avendo acquistato quel computer o quel telefono hanno il diritto di farcelo scandagliare».

In ambito aziendale invece le questioni più frequenti riguardano la concorrenza sleale: «Ex soci che vendono dei prodotti identici a quelli dell’azienda che hanno lasciato, ai medesimi clienti, millantando prezzi inferiori, pur avendo firmato contratti che impedivano questi comportamenti. È capitato anche di smascherare dipendenti, magari pubblici, che si davano malati o infortunati per fare altri lavori, oppure i classici casi di assenteismo, i “furbetti del cartellino”. O ancora concorrenza sleale, ma tramite sabotaggio: c’è stato un responsabile che metteva dei polimeri dannosi nella linea di produzione di materie plastiche della sua azienda, al fine di guastarle e, si presume, favorire qualcun altro che lo remunerava per questo».

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