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DannyRu, dai juke box ai vestiti Un regno vintage in centro città

DannyRu, dai juke box ai vestiti Un regno vintage in centro città
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«C’era un ragazzo, che come me, amava i Beatles e i Rolling Stones», cantava Morandi negli Anni Sessanta. Ora, a Bergamo, c’è un ragazzo che non solo ama i Beatles e i Rolling Stones, ma ama tutta la loro epoca e oltre. È Daniele Ruggeri, 25 anni, che ha da poco aperto un negozio vintage in centro a Bergamo. Si chiama DannyRu Vintage e si trova in via Sant’Orsola 29. La vetrina è piccola, ma salta all’occhio, e quando si entra, ci si trova immersi in un mondo che ha un sapore affascinante.

Daniele, cos’è per te il vintage?
«Sono oggetti, capi d’abbigliamento e mezzi che hanno avuto una storia. Alcuni sostengono che per entrare in questa categoria devono essere trascorsi almeno vent’anni dalla loro produzione, ma secondo me non c’è per forza un limite di tempo. Un capo può essere considerato vintage anche solo dopo dieci anni, l’importante è che abbia avuto un passato».

Come e quando è nata la tua passione per il vintage?
«Sono sempre stato un grande appassionato di moto, anche grazie a mio padre. Un giorno, ero in quinta elementare, mio papà è arrivato a casa con una Vespa 50 Special e abbiamo cominciato a sistemarla. Nello stesso anno ne sono arrivate altre sette o otto. Ormai era diventata una vera passione e passavamo tutto il pomeriggio in garage a sistemare vecchie moto. Poi mio padre ha comprato una 500 d’epoca e mi sono appassionato anche alle macchine».

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Nei primi anni Duemila tutti volevano l’ultima uscita delle marche più costose e alla moda. Com’è che hai deciso di andare controcorrente?
«Guardavo le vecchie pubblicità di auto e moto su YouTube e i vestiti vintage, e mi piacevano molto. Allora ho iniziato a frequentare i mercatini per comprarmi quel genere di vestiti, anche se non è stato un cambiamento totale. Ad esempio, abbinavo un montone con i jeans di Zara. Anche adesso mischio capi vintage a quelli più moderni».

Come hai trasformato la tua passione in un lavoro?
«All’inizio trattavo vecchi juke box. Un giorno sono andato a vedere delle moto e lì ho visto che c’era anche questo juke box, che non sapevo nemmeno cosa fosse, però mi piaceva. L’ho ritirato, l’ho sistemato e ho messo un annuncio su Subito.it. Poco dopo un ragazzo di Bergamo anche lui appassionato di vintage, Jacopo Gamba, è venuto a vederlo e siamo diventati amici. Lui mi ha dato la spinta per iniziare seriamente».

Dove trovavi i vecchi juke box?
«Qui è uscita la genialità di Jacopo. Ha comprato delle Pagine Gialle degli Anni Ottanta per chiamare i noleggiatori. Qualcuno aveva delle rimanenze nei magazzini e andavamo a ritirarli. Abbiamo girato in macchina tutta l’Italia ed è stato parecchio divertente».

Poi hai iniziato a vendere vestiti...
«Un giorno Jacopo mi ha proposto di partecipare a un mercatino con lui. Mi avrebbe riservato mezzo banco. Ho portato una rella di miei vestiti e occhiali che non usavo più e ho incontrato personaggi un po’ particolari che, di solito, non si vedono a Bergamo. Allora ho iniziato a risparmiare e il fine settimana andavo a comprare merce ai mercatini delle pulci in giro per l’Italia. La sveglia era alle 5. Al ritorno sistemavo i miei acquisti, lavavo i vestiti e alcuni li personalizzavo, facendo ritagli e applicando patch. Quando ancora studiavo ho cominciato a partecipare ai mercatini domenicali come venditore, ho comprato il furgone e mi sono allargato».

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Hai studiato qualcosa di inerente alla moda?
«No, assolutamente. All’università ho studiato Podologia e alle superiori ragioneria. Per un po’ ho anche fatto l’agente immobiliare. Insomma, nulla che avesse a che fare con il vintage. Dopo la laurea ho deciso di non seguire più quella strada: la mia passione era un’altra».

E il negozio come è nato?
«In modo veloce, come tutte le mie cose. Ho pensato che in centro a Bergamo mancasse un negozio vintage. In una settimana ho girato il centro e ho trovato questo spazio, anche grazie ai proprietari di Pi Greco, che sono amici di famiglia. L’interno era cupo, il pavimento scuro, le pareti grigie. Sul vetro c’era una patina oscurante. Ho aperto il portone, ho messo delle ampie vetrine, dipinto il muro di bianco e fatto entrare la luce. Una settimana dopo avevo il mio negozio».

La tua famiglia e i tuoi amici hanno qualche ruolo in tutto questo?
«I miei genitori, mia sorella e i miei amici mi aiutano ai mercatini. E poi ora c’è Carlotta, la nuova commessa del negozio, che è bravissima e molto responsabile, molto più di me (ride, ndr). Comunque le idee sono tutte mie».

Come sei riuscito a farti una clientela?
«Innanzitutto grazie ai social, che ora sono tutto. Poi anche per la posizione strategica e attraverso il passaparola. In più, credo che il mio negozio sia un buon compromesso tra qualità e prezzo. Alcuni, invece di andare fino a Orio per i Levi’s, li comprano qui e li pagano la metà. Per questo io cerco di essere sempre il più fornito possibile, anche se non è facile, perché il vintage è il vintage. Comunque si possono sempre fare delle modifiche. Ho la mia sarta di fiducia con cui cerchiamo di sistemare i vestiti in base alle esigenze di tutti».

 

https://vimeo.com/217476668

 

Un po’ è anche merito del tuo talento commerciale, vero?
«Ti svelo una cosa: anche mio papà negli Anni Settanta e Ottanta ha fatto più o meno il mio stesso percorso. Lui comprava antichi pizzi di fine Ottocento e inizio Novecento al chilo, li faceva lavare, tagliare dalle sarte e poi li vendeva al pezzo. Anche lui ha cominciato con i mercati e poi ha aperto un negozio proprio qui, in via Sant’Orsola, dove ora c’è Borsalino, e poi anche uno in Città Alta. Ovviamente non c’è correlazione tra il mio vintage e il suo, credo sia solo una coincidenza, ma quello che voglio dire è che il sangue del commerciante l’ho sicuramente preso da lui».

È vero che il vintage è sostenibile?
«Sostenibilissimo! Alcuni si scandalizzano perché vendo pellicce. Ma non bisogna dimenticare che sono prodotti già sul mercato, che io rivendo per evitare che ne vengano creati di nuovi. In più, se vedo che un capo non va o è troppo rovinato, cerco di reinventarlo. Con i pantaloncini estivi, ad esempio, creo dei jeans lunghi, unendo altri pezzi di jeans. Alcuni giubbini di pelle sono diventati borsoni da viaggio, molto utili e molto stilosi. Di recente ho creato la linea Turbo, in cui mi sbizzarrisco disegnando fiamme sui vestiti, rendendoli più giovanili, originali e divertenti».

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