Tra talento e originalità

Non solo Verdena: l'altro rock con le radici piantate a Bergamo

Non solo Verdena: l'altro rock con le radici piantate a Bergamo
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Nel panorama musicale italiano, sempre più devoto alla facile commerciabilità del pop, spesso e volentieri la scena alternativa rischia di finire soffocata dalle ultime tendenze mainstream, con artisti usciti dai variegati talent o promossi a spintoni dalle major di appartenenza. Un pericolo per la qualità dei prodotti e per l'unicità dei fenomeni locali, alla deriva nell'oceano sconfinato del mercato discografico.

Ecco perché ci troviamo qui a scrivere di due band di quel mondo alternativo che pian piano si è assottigliato. Due band che riteniamo valga la pena ascoltare innanzitutto per il talento. Con un pizzico di orgoglio per le comuni origini bergamasche.

 

Le Capre A Sonagli4 (foto Alessandra Beltrame)

[Le Capre a Sonagli, foto di Alessandra Beltrame]

 

Partiamo dunque con Le Capre A Sonagli, progetto nato sedici anni fa sotto il nome di Mercuryo Cromo e composto fin dall'esordio da quattro musicisti: Stefano Gipponi alla voce e alla chitarra, Matteo Lodetti al basso e all'armonica, Enrico Brugali alla batteria e alle percussioni e infine Giuseppe Falco alla seconda chitarra e al banjo (con aggiunta dell'elettronica che condivide con il penultimo membro del gruppo).

Con un debutto intitolato Nuovi Colori (2005) e il successivo ep omonimo (2008), alcuni anni di gavetta sui palchi in apertura ad artisti del calibro degli Zen Circus e degli Afterhours e un secondo album (Tormenta), il nome Mercuryo Cromo inizia a non calzare più al quartetto orobico già con la mente farcita di idee che ben si distanziano dal percorso iniziale.

È così che vengono alla luce Le Capre A Sonagli, pronte a catapultarsi solo dopo il primo ep (ancora legato al cantautorato grunge) in SadiCAPRA (2012), l'album nel quale si scorge finalmente un universo intagliato da bassa fedeltà, linee vocali più distinguibili, dinamica e ritmo che colgono nel vivo dell'azione i quattro artisti.

 

 

Da questa brusca inversione di marcia la personalità della band esce rinforzata e puntata verso un genere che esce dagli schemi richiamando a sé folk, indie e hard-rock (senza scordarsi l'alternative) in un miscuglio che non sta mai fermo e che assume nel 2015 la sua forma migliore grazie al piccolo gioiello chiamato Il Fauno. Quattordici brani onirici che vedono Joe Koala protagonista di una storia narrata dalla figura caprina, tra chitarre grezze dimentiche del galateo, blues dissonante (Demonietto all'organetto), divertissement fonetici (Ciabalè, Celtic), un omaggio western (Joe) e psichedelia americana (Nonno Tom).

Le Capre A Sonagli meritano in particolare per la sapienza nel riproporre i pezzi dal vivo in un turbine di movimento e coinvolgimento fisico ed emotivo, per dei concerti che rimangono ben impressi nella memoria. Se quel che avete letto su di loro finora vi ispira fiducia date un assaggio alle produzioni sul profilo BandCamp e seguite le ultime news dalla pagina Facebook.

 

Requiem for Paola P. 1 (foto Nicoletta Paloma Cancelli)

 

[Requiem for Paola P. foto di Nicoletta Paloma Cancelli]

 

Un occhio di riguardo se lo aggiudica un'altra formazione, questa volta a cavallo tra la bassa bergamasca e Milano, che ha tratto il suo insolito nome dal sentimento di sconforto provocato dalle trasmissioni televisive del pomeriggio domenicale: Requiem for Paola P.

Nati nel 2007 e con l'esordio autoprodotto Simplicity cantato in lingua inglese, i Requiem occupano quasi subito una regione che si estende dall'alternative rock al punk, facendosi le ossa al fianco, fra i tanti, de Il Teatro degli Orrori e Marlene Kuntz.

Solo il secondo disco Tutti Appesi del 2009, per certi versi stilisticamente simile ai primi Ministri se non più acuminato e post-hardcore, sancisce il passaggio alla lingua madre, capace di veicolare in modo maggiormente efficace le liriche. Fin da Il diavolo sulle colline si percepisce una maturazione artistica non indifferente, con testi taglienti e trame strumentali che funzionano bene (Es la despedida, La pancia) e che mettono in risalto lo spessore del basso e delle chitarre graffianti.

Sebbene della line-up originale rimangano solo la chitarra e la voce di Andrea Pezzotta - ora accompagnato da Federico Pagnoni alla chitarra, Stefano Vavassori al basso, Andrea Ardigò alla batteria e Gianpaolo Improta su synth, voce e chitarra -, la verve dei Requiem for Paola P. non si arresta nemmeno nell'ultimo album Sangue del tuo sangue, uscito ad aprile di quest'anno e centrato sulla natura vista come unica alternativa alla realtà urbana alienante.

 

 

Il disco, oltre a presentare un binomio vocale, è un salto in avanti a livello di produzione, qui più curata per creare atmosfera e godibilità stereofonica, ma senza che scenda mai a compromessi con il pop: la filosofia della band è infatti fare ciò che viene spontaneo, tenendo i pezzi che piacciono indipendentemente dal loro sound – qualità da non disdegnare. L'idea che regge le fondamenta dell'album, come spiega Pezzotta in una recente intervista, è tornare alle origini per ricongiungersi con i lavori in cui ci si sporcano le mani, guardando al passato e al contempo alla pericolosità di un presente troppo attratto dalla massificazione. Un pensiero condivisibile e tradotto con tenacia e capacità in un progetto musicale che potrà sicuramente fare breccia nei cuori dei curiosi e di chi ama sperimentare. Non ci resta che invitarvi a seguire i Requiem for Paola P. con gli ascolti e sulla pagina Facebook in vista delle loro prossime date live: non ve ne pentirete.

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