Il regista di Videocracy

Il docufilm del bergamasco Gandini per raccontare la solitudine di oggi

Il docufilm del bergamasco Gandini per raccontare la solitudine di oggi
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Qualche anno fa il suo film Videocracy aveva fatto discutere parecchio: era un’altra Italia, sicuramente, con Berlusconi ancora al centro della politica e con la televisione che dominava ancora i mezzi di comunicazione. A distanza di sei anni torna Erik Gandini, regista e produttore nato e cresciuto a Bergamo; lo fa con un nuovo film che conferma la sua lettura profondamente critica della società e dei processi che si sviluppano in seno ad essa. Il documentario si intitola La teoria svedese dell’amore e sarà nelle sale a partire dal prossimo 22 settembre, distribuito dall’orobica Lab 80 film. Un titolo che può risultare criptico, ma è subito spiegato: Gandini è naturalizzato svedese, risiede attualmente nel Paese scandinavo e ha quindi rivolto il suo sguardo indagatore sulla società che l’ha accolto. Ma a dispetto delle solite notizie e voci sulla vita agiata del Nord Europa, il regista ha individuato una criticità notevole nel sistema apparentemente perfetto della Svezia.

 

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Lo svuotamento delle relazioni. Un tema che tocca tangenzialmente quello del recente film greco The Lobster, tra i più apprezzati dello scorso anno: le relazioni umane e tutte le loro problematicità, anche in relazione alla scelte dei governi. Ma se il film di Lanthimos si proiettava in una società distopica che impone ai cittadini di “accoppiarsi”, il documentario di Gandini sonda invece le aridità di un mondo che è stato pensato e costruito con l’obbiettivo opposto, poter prescindere dai rapporti umani. Narrato in italiano dalla voce dello stesso regista, è un viaggio nei buchi neri della società più indipendente del mondo, quella svedese: sistema perfettamente organizzato in cui obiettivo primario è l’autonomia totale di ogni persona rispetto alle altre. Un modello sociale realizzato, che si va affermando in tutto l’Occidente e in cui all’indipendenza dei singoli si accompagnano solitudine e svuotamento delle relazioni. La Svezia è riuscita prima degli altri Stati a creare cittadini liberi e indipendenti: gli adolescenti dai genitori, le mogli dai mariti, gli anziani dai figli. Un welfare state che ha funzionato e funziona con iperbolica perfezione. Ma il risultato è deprimente: nel film si susseguono le immagini di solitari donatori di sperma, che permettono a un numero crescente di donne di diventare madri single; di appartamenti surreali e desolanti dei sempre più numerosi “morti dimenticati” e di aree residenziali destinate a diventare mere aree di transito.

 

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Senso di comunità e felicità. «Come può una società perfettamente sicura e organizzata generare tanta insoddisfazione?», si chiede Gandini nel film. E sorge spontaneo un ulteriore interrogativo: quello svedese è un modello “futurista” destinato a realizzarsi anche nei paesi del Sud Europa, Italia compresa? Non mancano i tentativi di resistenza: ci sono ad esempio dei gruppi di giovani che si ritirano nelle foreste (come in The Lobster) per condividere emozioni e contatto fisico; oppure un medico di successo che emigra in Etiopia dove ritrova il senso di comunità, nonostante il suo lavoro diventi enormemente più difficile. Al termine del film c’è un intervento del celebre sociologo Zygmunt Bauman, che spiega come l’assenza di problemi non sia di fatto in grado di generare esistenze felici. Pare una condanna, per la Svezia come per le ambizioni dell’Occidente intero: un mondo perfetto, se mai verrà realizzato, sarà comunque un mondo infelice.

Una strada a fondo chiuso? «L’importanza che ha l’autonomia e il valore che le viene dato dagli svedesi mi ha sempre affascinato. La Svezia è il Paese più individualista del mondo ed è costruito per essere così, sembra quasi che il sistema dica: “Aiutiamoci a liberarci gli uni dagli altri”, ma così si genera anche un forte senso di solitudine. Il mio film è volutamente provocatorio, la mia prospettiva si focalizza sulle ombre che esistono nel sistema. Mi piace mettere in discussione le idee più indiscutibili e questo modello di società in Svezia è assolutamente intoccabile. L’obiettivo del film è insinuare un dubbio: se l’ossessione per l’autosufficienza e il mito dell’autonomia dell’individuo si rivelassero essere una strada a fondo chiuso, in Svezia come negli altri Paesi occidentali, Italia compresa? E io mi ritengo soddisfatto: ho fatto partire un dibattito che potrebbe portare a qualcosa di buono». La teoria svedese dell’amore è stato selezionato, tra gli altri, nei festival di film documentari di Amsterdam - IDFA, Copenaghen - CPH:DOX; Toronto – Hotdocs, Chicago, Linz e Barcellona - DocsBarcelona.

 

 

Lab 80 ha intervistato il regista in occasione della distribuzione italiana del film. Ecco alcuni passaggi significativi.

L’amore autentico. «La teoria dell’indipendenza e il mito dell’autosufficienza sono molto radicati nella cultura svedese. Sono espressi nella loro essenza nella Teoria svedese dell’amore, coniata dagli storici Lars Trägårdh e Henrik Berggren per definire ciò che più caratterizza la cultura scandinava quando si tratta di relazioni umane. Sostanzialmente sostiene che l’amore autentico può esistere solo tra due persone che siano indipendenti l’una dall’altra, che non stiano insieme per fini materiali o per dipendenza economica, come invece succede spesso in società meno eque. L’idea da un punto di vista economico non fa una piega, anzi, ma nella sua estensione esistenziale può trasformarsi in un’ossessione all’autosufficienza».

Il dibattito aperto. «La Svezia, per fortuna, ha una forte tradizione di autocritica. All’uscita al cinema il film ha sollevato un dibattito acceso sulla stampa che è andato avanti a colpi di interventi, articoli e inserti su radio e tv per diversi mesi e che ha diviso la critica. Ci sono stati tanti riscontri positivi, anche nell’ambiente politico. Io penso che la società perfetta non esista. Forse è quella che non crede mai di esserlo, quella che si mette costantemente in discussione, anche nelle idee più fondamentali su cui si basa. Una curiosità: secondo un indagine fatta di recente dal quotidiano Aftonbladet, la frequenza di rapporti sessuali in Svezia è diminuita del 24% dal 1996. Cifre talmente allarmanti che hanno portato il ministro della sanità ad annunciare un ambizioso progetto nazionale di indagine sulla vita sessuale degli svedesi».

 

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Effetti collaterali. «Il progetto di welfare state degli anni Settanta ha preso piede in molti Paesi europei, anche se in Svezia è stato realizzato in modo più efficiente. Non aveva come obbiettivo la distruzione della famiglia, ma al contrario quello di creare presupposti per una maggiore qualità dei rapporti familiari. Chi aderì a questa idea non aveva cattive intenzioni e non poteva prevedere l’avvento di ciò che arrivò circa un decennio dopo: il neoliberismo degli anni Ottanta e Novanta e la cultura individualista del 2000 fomentata dai mass media e diffusa soprattutto tra i giovani, che oggi sono bombardati dal culto della celebrità e sono educati all’idea che la realizzazione personale sia l’aspirazione massima. Una patologia narcisista sta dilagando tra intere generazioni, sicuramente anche in Italia. Si può dire che il culto dell’autonomia personale si è sposato molto bene con queste tendenze creando un pericoloso cocktail. Non è da escludere che la Svezia sarà la prima a rendersene conto e a formulare un nuovo manifesto per il futuro».

Le critiche negative. «Sono andato a toccare un “nervo” molto sensibile nella società svedese e perciò il film è stato molto chiacchierato e commentato, sia sulla stampa che sui social network. Ma questo è un bene, sarei rimasto male se fosse successo il contrario. La teoria svedese dell’amore ha avuto in Svezia riscontri simili a quelli che Videocracy ha avuto in Italia: “Questa non è l'Italia!” e “Questa non è la Svezia!”. Ho un’innata, incessante necessità di riflettere sulla realtà che mi circonda. Di mettere in discussione le idee anche più indiscutibili. Spero sempre che i miei film facciano discutere o perlomeno pensare, così come le tematiche che affronto fanno riflettere me».

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