L'anniversario

Giornalismo tra monti e valli I primi trent'anni di Araberara

Giornalismo tra monti e valli I primi trent'anni di Araberara
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Ci saranno anche Ferruccio De Bortoli, storico direttore del Corriere della Sera, Eugenio Finardi, impegnato a cantare i 40 anni di «Musica Ribelle», e Giovanni Nuti, con Josè Orlando Luciano al pianoforte e Simone Rossetti Bazzaro al violino. Saranno presenti anche i ragazzi dell’orchestra Bequadro di Sovere e un giocatore dell’Atalanta. In apertura la sfilata di moda «Made in Italy in riva al lago» alle 19.30.

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Una grande festa quella di lunedì 5 giugno al Porto Nuovo di Lovere (in caso di maltempo ci si sposta al Teatro Crystal) per i 30 anni del quindicinale Araberara, fondato e diretto da Piero Bonicelli. «Uscito con il primo numero il 10 maggio 1987, è ancora oggi occasione per chiedermi cosa voglia dire – racconta Bonicelli -. Volevamo fare un giornale che non fosse legato a un paese, una valle, ci sembrava di mettere confini territoriali, di imprigionarci per conto nostro. Già ci sentivamo, se non proprio “ragazzi dell'Europa”, almeno dell'Italia, con qualche puntata perfino all'estero. Certo, era l'ambizione di varcare passi, scavalcare montagne, arrivare fin dove “l'occhio si perde” che ci ha indotto a scegliere un nome non legato al territorio. E allora tutti a pensare a nomi più o meno esotici. Araberara saltò fuori dall'inizio di una filastrocca, quelle che si usavano da bambini per stabilire l'appartenenza a una squadra, ma anche il ruolo nel gioco delle parti». A distanza di 30 anni quel nome è risultato azzeccato anche nello scavalcare monti e valli. «Anche la “vocazione” amministrativa del giornale – aggiunge Bonicelli - all'inizio fu bersaglio di scetticismo, figurarsi, c'è la politica alta, cosa importa alla gente della cresta dei galli nel piccolo pollaio di casa propria? Il segreto del giornale invece sta tutto lì: cercare (non sempre ci riusciamo) di trattare ogni paese come fosse la capitale del mondo, perché in fondo per chi ci abita quello è il centro del mondo, raccontare storie di gente comune che le storie se le tramanda e se le racconta e se le inventa ogni giorno, magari colorandole un po', come la filastrocca della testata».

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