Un'indiscussa professionalità

Calzolaio Dumitru a Scanzorosciate Storia di una vita dura e bella

Calzolaio Dumitru a Scanzorosciate Storia di una vita dura e bella
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«Vivere non si riduce a mangiare, dormire, lavorare. La vita, la vera vita è prima di tutto libertà di espressione e libertà di movimento». È molto toccante una delle prime frasi che mi rivolge Dumitru Checiu, titolare di una bottega artigiana a Scanzorosciate. Nato 65 anni fa a Constanța, sul Mar Nero, si è trasferito ben presto a Bucarest dove ha iniziato a fare il calzolaio a 15 anni, frequentando il liceo serale e una scuola professionale di tecnico ortopedico. «Ho sofferto molto durante il regime dittatoriale di Ceaușescu. Sognavo di potermi esprimere liberamente, di visitare Parigi, Londra, di vedere il Duomo di Milano, sognavo di poter partire. Qui si considerano ormai cose scontate, ma non è sempre ed ovunque così». Dopo tre anni di apprendistato presso una cooperativa, diventa autonomo e la sua bravura così popolare da esser chiamato a lavorare per i grandi registi del Teatro Nazionale, realizzando calzari di scena per opere shakespeariane. È un successo.

Prima di sposarsi con Mariana, un ingegnere specializzato in energia elettrica, termica e nucleare, continua a studiare, seguendo corsi triennali di organizzazione e gestione cantiere «per tenermi allenato il cervello», sorride. La sua fama lo precede e le sue scarpe diventano un bene di lusso. Ciononostante decide di svoltare pagina e a fine Anni Novanta parte con tutta la famiglia, perché «a Bucarest non c'era futuro per le mie figlie», Violeta e Janina, entrambe laureate, una in Finanza e contabilità e l'altra in Architettura.

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Lavora dapprima a Catanzaro e poi a Lamezia Terme nel campo delle calzature ortopediche, decidendo di trasferirsi al nord nel 2001 per aprire un'attività tutta sua. La cittadina orobica lo accoglie a braccia aperte: inaugura la sua prima bottega a Colognola grazie a una famiglia di amici bergamaschi che gli fa da garante in banca per ricevere un finanziamento da 40 milioni di lire. «Un gesto che va oltre l'amicizia: sono più che amici, perché senza di loro, non sarei qui oggi», dice il signor Checiu con evidente commozione. «Dopo tre anni ho chiuso quella bottega per aprirne un'altra più centrale, in Borgo Palazzo», continua. Sono anni d'oro, la clientela aumenta a vista d'occhio e fioccano ordini per privati e per aziende specializzate nella vendita di prodotti ortopedici. Lui, il cui diploma di tecnico ortopedico non è riconosciuto in Italia, alla faccia della burocrazia, incontra subito il consenso di clienti fissi e di realtà specializzate, che gli riconoscono una qualità e una manualità fuori dal comune. Oltre alla realizzazione di scarpe ortopediche, anche la “Bergamo bene” va da lui per farsi fare scarpe su misura personalizzate e scarpe da cerimonia per uomo, donna e bambino.

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Nel 2012 l'ultimo trasloco della bottega, a Scanzorosciate, «per star più vicino ai nipoti», dice, indicando due foto di bebè appesi alle pareti. Nel suo negozio ha portato con sé tutti i macchinari che l'hanno accompagnato durante il suo percorso lavorativo italiano, quindi due presse per la riparazione delle scarpe, una macchina per il finissage, una vacuum (che serve a modellare sughero e plantari col calore, sfruttando il principio del sottovuoto), una lucidatrice, una cucitrice per suole, una macchina da cucire per le tomaie e una sfilatrice. Nella stanza adiacente all'ingresso sono accatastate centinaia di forme, su cui lavora instancabilmente ogni giorno e su cui vegliano due bellissimi pappagallini «che chiacchierano un sacco» scherza il titolare della bottega. Un luogo magico, che sa di storia, di arte e in cui viene svelato il vero significato della parola 'artigianalità'. Della sua vita, come se l'è forgiata, insieme alle migliaia di scarpe fatte durante questi 50 anni da calzolaio, c'è solo una cosa di cui ha il rimpianto: «Dopo la rivoluzione, nel '94, ho ricevuto un'offerta di lavoro a New York. Ho rifiutato perché le mie figlie stavano ancora studiando. Se fosse arrivata qualche anno dopo, però, chissà...».

[Il suo sito è qui.]

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