Già dal Basso Medioevo

La prima bega in bergamasco in barba a Dante e ai poeti dotti

La prima bega in bergamasco in barba a Dante e ai poeti dotti
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In copertina, un’antica mappa dell’area contesa fra Nese (Anesa) e Olera di cui esistono le testimonianze scritte, risalenti al 1484.

 

Passato il Serio, la Mella e lo Brenno
trovammo il Bergamasco in su la costa
che grosso parla ed ha sottil senno.
(Fazio degli Uberti, Il Dittamondo, 1340)

In pieno Cinquecento accanto alle classicità latine e volgari tentava audacemente e finalmente la forma letteraria anche il nostro dialetto. Il Lork, illustrando il nostro dialetto antico, annota alcuni documenti in pretto bergamasco, come le deposizioni testimoniali in una lite di confini tra Olera e Nese.
(B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi)

 

Sappiamo che poco o nulle sono le produzioni dialettali del Quattrocento, ma è interessante ricordare che uno tra i primi studiosi ad occuparsene fu, come sottolinea Belotti, Jean Etienne Lorck (1860-1931), filologo tedesco. Il lavoro in questione, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, è senza dubbio diligentissimo e ragguardevole, considerando che il Lorck non conobbe direttamente alcun manoscritto e, per buona parte dei testi, poté consultare solo le copie frammentarie fattane dallo Zerbini (Elia Zerbini, Note storiche sul dialetto bergamasco).

 

 

Un dialetto antico. Il dialetto bergamasco ha origini antiche, è attestato nel Basso Medioevo da diversi atti di transazioni private, ma anche da alcuni componimenti poetici fatti risalire alla prima metà del XIII secolo. Questi tuttavia si discostano dal vernacolo parlato perché subiscono l’influenza della mediazione culturale degli scrittori, notai o comunque uomini di cultura che li hanno trascritti. Non è questa la sede, né la sottoscritta ha le adeguate competenze, per affrontare un discorso globale sull’antico volgare in uso nel bergamasco, ma indubbiamente del Quattrocento sono alcuni documenti non letterari e, in compenso, in schietto vernacolo senza sospetto di influenze letterarie o di gravi alterazioni. Sembra che proprio lo studio del versante non letterario rappresenti la chiave più immediata e sicura per rispondere agli interrogativi sulla lingua dei primi secoli, da quelli che possono sorgere nella fisionomia dei vari volgari, a quelli del rapporto tra questi ultimi e il latino.

Nell’archivio comunale di Poscante si conserva un manoscritto dell’anno 1484 concernente una lite per i confini tra i comuni di Olera e di Nese nel quale si leggono, qua e là, deposizioni di testimoni in dialetto. Ricordiamo che verso la fine dell’età medievale il paese di Olera fu incluso nei confini del comune di Poscante che, pur se situato sull’opposto versante orografico del Canto Alto, era collegato a Olera tramite sentieri utilizzati da viandanti e commercianti. Questi rientravano nella rete viaria conosciuta con il nome di via Mercatorum, che permetteva il passaggio di persone e merci dirette verso la val Brembana, in quei tempi difficilmente raggiungibile utilizzando gli impervi sentieri del fondovalle brembano.

 

 

La bega Olera-Nese. Torniamo al documento pubblicato da Zerbini, documento del 1484, in cui secondo la sua corretta affermazione, le caratteristiche linguistiche della Val Seriana sono puramente riprodotte in “schietto vernacolo”: è un manoscritto situato nell’archivio comunale di Poscante concernente una lite per i confini tra i comuni di Olera e di Nese, nel quale si leggono qua e là deposizioni di testimoni in dialetto. Uno di quelli di Olera si lamenta che gli abitanti di Nese pretendessero come propri certi grumelli (monticelli? Grumus difatti significa collina, piccola montagna, e conseguentemente grumulus sarebbe il diminutivo della stessa) posti sul confine: «Ay è quei da Nes che ime voraf tor i nos grumey» (Sono quelli di Nese che ci vogliono togliere i nostri grumelli). Uno bene informato intorno alla questione si fa avanti e dice: «Chi sa mey questa cosa com’è so mi e Antoni di Bruney e i oter stemadur chi era com tut nu a fa el stem de la val; che quan am stemava là el comun de Nes, quei da Nes respos: No passè quela val chi è li in co di nos lavorat da Nes vers quey de Olera per che oltra quela val al ge de quei de Olera» (Chi sa bene questa cosa com’è sono io e Antonio di Bruney e gli altri periti che erano con tutti noi a fare la stima della valle; ché quando facevamo la stima sul comune di Nese, quelli di Nese risposero: “Non passate quella valle che è in cima ai nostri terreni coltivati da Nese verso quelli di Olera, perché oltre quella valle ci sono i terreni di Olera”).

 

 

Qualcuno vorrebbe mettere pace tra i litiganti: «A farasev melio a cordarve che a spender li vostri denari» (Fareste meglio ad accordarvi che a spendere i vostri soldi). Ma la faccenda si “scalda” tra due che sembrano avere argomenti incontrovertibili: «Quelli de Olera perderà per che a no y a li soy raso in orden e so mi donde sono li soy carti e si havemo noy li carti de quelli grumelli e tutte quelle raso» (Quelli di Olera perderanno perché non hanno le loro ragioni a posto e io so dove sono le loro carte e che abbiamo noi le carte di quei grumelli e tutte le ragioni). «A l’ha torto quelli de Anexio, per che al hene (c’è) una preda là in di confini de Olera e de quelli de Anexio, la quale si hene semper mai chiamada la preda de Olera» (Hanno torto quelli di Nese, perché c’è una pietra al confine tra Olera e Nese che è sempre stata chiamata la pietra di Olera). Infine arriva il “saggio” che dice che la ragione è un po’ da una parte e un po’ dall’altra: «A l’è vera che noy de Anes am tè che el fondo de quella peza de ter asie nostro; ma queli di Olera ghe habia rason de pascolarghe, buschezare e stramezare» (È vero che noi di Nese riteniamo che il fondo di quel pezzo di terra sia nostro; ma quelli di Olera hanno il diritto di pascolare, di far la legna e di passare attraverso).

 

 

I dotti poeti contro il bergamasco. Il dialetto bergamasco dunque ha veramente fama secolare, ma, purtroppo anche quella di essere uno dei più duri e aspri d’Italia. Abbiamo citato in esordio Fazio degli Uberti, ma non dimentichiamo che Dante Alighieri, da buon toscano, accomunandolo senza distinzioni al milanese e agli altri dialetti vicini, li giudica tutti da gettare via: Post quos Mediolanenses atque Pergameos eorumque finitimos eruncemus (De vulgari eloquentia), dove eruncemus significa sradicare come erbacce. Il Sommo non poteva soffrire la barbara pronuncia di nöf e vifputa nöf pro novem, vif pro vivo, quod quidem barbarissimum reprobamus»). Gli fa eco Fazio degli Uberti, Leandro Alberti nella Descrittione di tutta Italia: «Popolo... molto civile et rozzo di parlare...», un giudizio che certo è rimasto immutato nei secoli.

Mi piace rispondere con le parole di Elia Zerbini: «Noi che conosciamo le vivezze del nostro dialetto, potremmo senza stento addur ragioni e prove della sua forza e concisione... nei vernacoli plebei… si rinvengono molte delle migliori ricchezze che nelle lingue scritte andarono perdute. Non importa dunque che siano belli, basta che siano ricchi, che abbian carattere, e se saranno di famiglia antica tanto meglio... che il linguaggio bergamasco... sia dotato di una comica vivacità sopra gli altri dialetti italiani e, infine, aggiungiamo noi, possa vantare una rispettabilissima, antica origine: lo dimostrano i documenti, non ultimo questo che ci riporta alle deposizioni testimoniali di una lite di confini tra Olera e Nese e ripropone la lingua parlata del popolo nella sua genuina spontaneità, a dimostrazione che proprio il dialetto locale, spesso snobbato o denigrato, diviene la base per quella nuova lingua che avrebbe sostituito il latino (con buona pace di Dante e del suo «volgare illustre», risultato di una progressiva liberazione dai limiti municipali delle varie parlate). A farasev melio a cordarve che a spender li vostri denari...

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