La festa grande dei 700 filippini cattolici bergamaschi, missionari in direzione contraria
Sono badanti, giardinieri, custodi. La loro è una testimonianza umile e operosa. Domenica 12 hanno ricordato i 500 anni dell'incontro con il Vangelo nella terra d'origine
di Bruno Silini
Possono essere l’antidoto a un certo cristianesimo avariato che fermenta infarcito di ricercati bla bla bla, ma lontano dalla verità del cuore. Sono in 700 in una provincia di un milione di abitanti. Fanno mestieri umili. Sono badanti, giardinieri, custodi, operai alla catena di montaggio. Sono gli uomini e le donne della comunità filippina cattolica che ruota attorno alla chiesa di San Giorgio in città, ex “fortezza Bastiani” dei Gesuiti. Il loro è un apostolato silenzioso e gioioso che si rinsalda nella normalità del quotidiano. Senza i loro servizi molte famiglie benestanti sarebbero in difficoltà a preparare la tavola, a fare il bucato, a pulire i pavimenti di casa, a tenere in ordine il giardino. Sono la salvezza dell’onorabilità borghese.
In un’Europa che ha smarrito tra le sue carte fondative il riferimento alle radici cristiane, loro con candida ingenuità festeggiano i 500 anni dall’incontro con il Vangelo nella terra d’origine, portato nel 1521 dai missionari spagnoli che hanno piantato la prima croce in quell’arcipelago che pare l’ultimo avamposto di terra boreale prima dell’immensità dell’oceano Pacifico. Un anniversario vissuto come una grazia di Dio, come un vero e proprio dono della fede.
«Ferdinando Magellano, il grande esploratore - dice don Virgilio Murillo, cappellano dei filippini di Bergamo - ci portò il Santo Niño de Cebú regalo di battesimo del navigatore portoghese alla Regina di Cebu all’epoca della esplorazione in quelle terre». Lo stesso Santo Niño che qualche giorno fa i filippini hanno regalato al vescovo Francesco Beschi per aver presieduto la Messa dell’anniversario. «Un segno - continua il cappellano - della nostra filiale gratitudine per averci aiutato nella fede cristiana qui nella sua diocesi».
Don Murillo (due “elle” ci tiene a dire, come il pittore della Virgen del Rosario) ha 47 anni. È in Italia nel 2015. È stato ordinato sacerdote nel 2002 nella provincia di Tacloban. «Ormai - spiega - sono 19 anni che faccio il prete. La mia presenza a Bergamo (abita nella parrocchia del Sacro Cuore, ndr) è una sorta di “missione” concordata da una convenzione tra la diocesi di Bergamo, la mia diocesi filippina e la Cei. Resterò ancora un paio d’anni poi tornerò a casa, nella mia terra, e lì continuerò il mio ministero».
Don Murillo è innamorato di Bergamo. La considerata una bella città ancora a misura d’uomo. Una città di apostolato, come tante altre città dislocate in oltre cento nazioni dove i filippini cattolici sono presenti. «Cerchiamo - dice don Murillo - di contribuire nelle opere di evangelizzazione. Non siamo solo badanti, domestici ma testimoni umili. Sentiamo di essere dei nuovi missionari. Certo, è una grande sfida. Siamo chiamati nel lavoro quotidiano a portare la fede nella grazia di Dio». Anche se la comunità filippina a Bergamo conta circa 1.500 persone, non tutti sono cattolici. Più della metà non lo è. Due anni fa don Murillo ha organizzato un censimento. È risultato che i cattolici erano circa 700.
Le prime presenze risalgono ai primi anni Settanta. si trattava di giovani giunti per ragioni di studio. L’afflusso dei migranti avvenne nei due decenni successivi ed è a partire dal 2000 che un piccolo gruppo iniziò ad incontrarsi per celebrare la Messa. Dal 2011 un sacerdote filippino - prima don Ronnie Lacanieta e ora don Murillo - accompagna il cammino di fede di questa comunità ora numerosa. Si trovano a San Giorgio ogni domenica, da una decina di anni. Tante le attività che purtroppo in questo periodo hanno subito una battuta d’arresto a causa della pandemia.
Tra i momenti forti, oltre al Natale (preceduto da una partecipata novena) e alla Settimana Santa, c’è la celebrazione della Santacruzan. È un’usanza che iniziò a diffondersi tra i cattolici filippini dopo la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione nel 1854, rafforzato, poi, dopo la pubblicazione intorno al 1867 della traduzione di Mariano Sevilla del devozionale Flores de Maria o Fiori di Maria. Poiché maggio è anche il mese dedicato alla Vergine Maria, la celebrazione è anche conosciuta come Flores de Mayo (Fiori di maggio). La festa commemora la ricerca della Santa Croce da parte della regina Elena e di suo figlio, l’imperatore Costantino il Grande.