Fondazione Bergamo nella Storia

La storia sul colle è ricominciata Che c'è nella Rocca appena riaperta

La storia sul colle è ricominciata Che c'è nella Rocca appena riaperta
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La Rocca nel cuore. La Rocca del museo del Risorgimento, dell’aereo di Antonio Locatelli. La Rocca dal grande torrione che domina la città ed è parte fondamentale del suo profilo. Sul torrione garrisce la bandiera a ricordarci ogni giorno che facciamo parte di una famiglia magari rissosa e sgangherata, ma pur sempre una famiglia, dal passato illustre, di nome Italia. La Rocca è stata riaperta sabato 18 marzo, dopo un periodo di chiusura per un intervento di risanamento.

Risorgimento. La Rocca era stata sede del vecchio museo del Risorgimento e della Resistenza, che in molti ricordano. In quel museo il pezzo più suggestivo era l’aereo di Antonio Locatelli, il famoso Sva costruito dalla Caproni (oggi è custodito nel Museo Tino Sana di Almenno San Bartolomeo). Perché anche la Prima guerra mondiale trovava spazio lì, conflitto che era considerato in un certo modo l’episodio finale dell’epopea del Risorgimento italiano. Si cambia Nel 2014 il nuovo allestimento. Ma poco tempo dopo si manifestarono problemi di umidità e infiltrazioni. Quindi altra chiusura per il risanamento appena concluso. Nel 2014 le sale erano state dedicate a Mauro Gelfi, il direttore del Museo della Città, inaugurato nel chiostro di San Francesco negli Anni Novanta e di cui Mauro Gelfi era stato l’artefice, prima di scomparire prematuramente nel 2009.

 

 

La Rocca di oggi. La Rocca di oggi costituisce la parte ottocentesca del Museo storico della Città, che ha sede nell’attiguo ex convento di San Francesco. Il nuovo percorso è organizzato in sezioni, parte dall’arrivo delle truppe francesi a Bergamo (Natale 1796). Un evento traumatico per la nostra città, dopo quattrocento anni di appartenenza alla Serenissima. Che con Bergamo aveva mantenuto rapporti quasi sempre positivi. A esclusione forse del periodo di costruzione delle Mura Venete, che oggi sono considerate il più bel regalo lasciato dai Veneziani, ma che allora scatenarono polemiche e disordini. La loro edificazione provocò l'abbattimento di luoghi importanti della città, come la basilica di Sant'Alessandro, appena fuori dall’attuale porta che ha lo stesso nome. Questa parte del Museo storico della Città arriva fino al 1870, a Roma Capitale, e cerca di porre in evidenza i “no di tematici più significativi delle vicende del territorio bergamasco, in rapporto con la storia lombarda e nazionale”, come da comunicato del Museo.

 

 

Indipendenza. Le vicende a grandi linee le conosciamo. Dopo la caduta di Napoleone, Bergamo venne legata all’impero Austroungarico entrando a far parte del regno Lombardo-Veneto. Non fu un periodo lungo, in realtà. Si protrasse dal 1815 fino al 1859, fino alla Seconda Guerra di Indipendenza, quando i Piemontesi, appoggiati dalla Francia, riuscirono a strappare la Lombardia agli Austriaci. Quarantaquattro anni. Da allora, dal 1859, siamo italiani. Sono ormai trascorsi 158 anni. Ancora poco, rispetto al lungo periodo veneziano. Il nuovo percorso vuole offrire una visione completa di quel secolo di trasformazioni, l’Ottocento. Dice il Museo: «Attraverso linguaggi e testimonianze diversificate: il percorso si avvale di ricostruzioni d’ambiente, postazioni multimediali, audio con le voci di alcuni protagonisti degli eventi storici e testimonianze materiali, provenienti sia dalle raccolte museali, sia dalle collezioni di istituzioni cittadine e provinciali, nonché di privati cittadini».

 

 

La riapertura e il parco. La riapertura si è tenuta sabato 18 marzo, seguita da un fine settimana con iniziative e visite guidate a cura dello staff della Fondazione Bergamo nella Storia, che è responsabile della conduzione del museo storico (compresi anche i musei del Cinquecento, Donizettiano e Torre dei Caduti nella Città Bassa). Si è svolta anche una passeggiata alla riscoperta della Rocca e del suo parco della Rimembranza, ricco anche dal punto di vista della vegetazione, pure di sapore risorgimentale, dove si trovano i quattro alberi della Romanità: cipresso, alloro, pino domestico e corbezzolo. Dice Roberta Frigeni, direttrice del museo: «L’allestimento è quello del 2014, l’ultimo prima di questo intervento di risanamento. Ma il museo è vivo, ci sono sempre cose nuove perché ci sono famiglie che ci affidano cimeli e ricordi di quel tempo, ancora oggi. Così per esempio esponiamo la divisa di una guardia nazionale che risale alla Prima Guerra di Indipendenza e alcuni oggetti originali che facevano parte della filanda di Solto Collina».

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